In occasione delle festività pasquali, vogliamo condividere con voi una filastrocca della tradizione messinese. Un tempo, a Messina, la Gloria veniva suonata alle 11 del sabato santo. Mentre le campane suonavano, si mangiava la cuddura, dal greco “kulloura“, una ciambella intrecciata con dentro un uovo sodo. Poteva essere accompagnata con salame e favette fresche. I bambini tiravano in aria le cuddure cantando questa filastrocca.
A gloria sunau
a cuddura si spizzau.
Si spizzau a mossa a mossa
a cuddura senza l’ossa.
A cuddura a panareddu
cu ddu’ ova ‘nto cesteddu.
‘Na manciamu ‘n alleria
tutti quanti ‘ncumpagnia.
E s’avemu ancora fami,
quattru feddi di salami,
chi favuzzi frischi assai
chi ni levunu di guai.
A gloria sunau.
‘U Signuri risuscitau!
La versione messinese della cuddura è molto diversa da quella che si realizza in altre parti della Sicilia, in cui le cuddure pasquali sono realizzate con la pasta frolla. Nella città dello Stretto, infatti, ha un impasto molto simile a quello dei “panini di cena“: in questo caso, una volta pronto, l’impasto semidolce viene guarnito con uova sode e poi cotto in forno. Quindi si spolvera con semi di sesamo.
La parola “cuddura” deriva dal greco “kolloura” o “kollura”, che significa “corona“. Nell’antichità, questa parola indicava particolari tipi di focacce che si offrivano agli dei per chiedere il loro aiuto e la loro benevolenza. L’usanza di preparare pani speciali non si è perduta. La mattina del sabato santo le cuddure si portavano in chiesa per essere benedette, quindi in casa, per la Pasqua.
Le cuddure accompagnavano anche i pastori o i viandanti: in questo caso erano fatte con la pasta di pane, dando una forma circolare e aggiungendo l’uovo sodo, per essere più sostanziosa. Con il tempo, gli ingredienti sono stati modificati, preferendo una versione dolce, che viene servita a Pasqua.