L’Abbazia dei Santi Pietro e Paolo d’Agrò è un’antica chiesa cristiana della frazione di San Pietro, nel comune di Casalvecchio Siculo (Messina). Ha l’aspetto di una chiesa fortificata con il classico orientamento della parte absidale ad est. È certa la funzione di fortezza che ha dovuto sostenere nei vari secoli.
Lo stile architettonico può certamente definirsi l’unione e la sintesi dell’architettura bizantina, araba e normanna. Rappresenta un rassemblement in cui convivono elementi cardine dello stile artistico e tecnico-costruttivo arabo, e normanno-bizantino, secondariamente. Possiede l’imponenza della fortezza difensiva con il tipico orientale ed atavico orientamento absidale, nonché il primato e l’esclusiva primigenia rappresentazione di architettura/arte protogotica in Sicilia e dunque in Europa.
La storia dell’Abbazia dei Santi Pietro e Paolo d’Agrò
La chiesa originaria risaliva presumibilmente all’incirca al 560. Fu in seguito completamente distrutta dagli arabi e quindi ricostruita nel 1117. Tale data è certa in quanto è stata dedotta da un “Atto di Donazione” di Ruggero II, datato 1116 scritto in lingua greca, conservato nel Codice Vaticano 8201, e tradotto in latino da Costantino Lascaris nel 1478.
Da tale Atto di donazione si deduce che il conte Ruggero II in viaggio da Messina a Palermo fa una sosta in scala S. Alexii e cioè al castello di Sant’Alessio Siculo. In tale circostanza viene avvicinato dal monaco basiliano Gerasimo, il quale chiede al sovrano la facoltà e le risorse per riedificare (erigendi et readificandi) il monastero sito in fluvio Agrilea. La richiesta venne prontamente accolta e il monaco Gerasimo di San Pietro e Paolo si adoperò immediatamente a far erigere il tempio.
L’edificio sacro molto probabilmente subì dei gravi danni nel 1169 a causa del fortissimo terremoto che quell’anno squassò tutta la Sicilia orientale. Fu quindi ristrutturato e rinnovato nel 1172 dall’architetto (capomastro) Gherardo il Franco come si può dedurre dall’iscrizione in greco antico posta sull’architrave della porta d’ingresso:
«Fu rinnovato questo tempio dei SS. Apostoli Pietro e Paolo da Teostericto Abate di Taormina, a sue spese. Possa Iddio ricordarlo. Nell’anno 6680. Il capomastro Gherardo il Franco.»
L’anno 6680 corrisponde nella cronologia greco-bizantina appunto al 1172 in quanto gli anni si computavano dall’origine del mondo che, per i greco-bizantini, risaliva a 5508 anni prima della venuta di Cristo. Da quel restauro la chiesa non subì altre modifiche ed è giunta a noi praticamente intatta, al contrario del circostante Monastero di cui rimangono solo pochi resti e qualche edificio recentemente oggetto di un lavoro di restauro
Oltre ai due Abati su citati Gerasimo e Teostericto, si conoscono i nomi di altri 26 Abati che si sono succeduti nel corso dei secoli, fra i quali l’Abate Fra Simone Blundo, palermitano e il successore un certo Abate Fra Bessarione, greco, nel 1449 che ha diritto di voto nel Parlamento siciliano e che fu nominato Cardinale da Nicolò V. L’ultimo Abate Nicolò Judice, fu nominato Cardinale da Benedetto XIII l’11 giugno 1725). L’Abbazia della vallata di Agrò fu un centro notevole di vita spirituale, sociale ed economica.
L’ampio territorio che controllava era molto ricco di varie colture e allevamenti ed era dotato di vari mulini per la produzione di farine e derivati. Abbondava la produzione di vino e olio d’oliva. Di tali ricchezze prodotte dall’Abbazia beneficiava anche il paese di Casalvecchio Siculo (“Casale Vetus”) che viveva gravitando intorno alle sue attività.
Nel corso dei vari secoli il Monastero dei SS Pietro e Paolo d’Agrò e la chiesa di S. Onofrio di Casalvecchio svolsero il ministero pastorale in unità d’intenti con la “Gran Corte Archimandritale di Messina” la quale concedeva all’Abate del «venerabile Monastero dell’Abatia dei SS. Pietro e Paolo d’Agrò, su richiesta della Matrice dell’Università di Casalvecchio sotto il titolo di S. Onofrio, di poter condurre processionalmente la Reliquia di detto S. Onofrio…in una delle due processioni…» (Liber actorum, 1705, Archivio della “Gran Corte Archimandritale di Messina”).
Dai registri del 1328 si apprende della presenza di sette monaci e di dieci nel 1336. Dopo secoli di permanenza nel monastero i frati furono costretti a richiedere il trasferimento ad altra sede. Infatti in quel luogo l’aria era diventata insalubre e quasi irrespirabile a causa dell’acqua imputridita dell’Agrò proveniente dalle coltivazioni di lino che lungo in fiume era massicciamente ed intensamente coltivato.
La richiesta di trasferimento fu accolta dall’Archimandrita di Messina e dal re Ferdinando IV e la sede Abbaziale del Monastero dei SS. Pietro e Paolo fu trasferita a Messina nel 1794. In seguito la chiesa venne praticamente abbandonata e per molti anni servì addirittura da deposito per attrezzature contadine. Tale stato di totale abbandono ed incuria durò fino agli anni ‘60 del secolo scorso, visitata solamente da studiosi dell’architettura medievale sia italiani che stranieri. Solo negli anni sessanta fu ripulita, fu oggetto di varie campagne di restauro conservativo, riaperta al culto, e alle visite turistiche.