Le sue origini sono tutt’ora avvolte nel mistero. Secondo la tesi di uno dei partecipanti, il barone Agostino La Lomia, arcade minore, l’Accademia sarebbe stata fondata da Gian Maria e Gian Francesco Collon, giunti in Canicattì al tempo di Carlo V, nel 1537; si dice che questi uomini fossero spagnoli o portoghesi, ma non si è certi del fatto che questa sia effettivamente la versione reale della storia, in quanto lo stesso barone ne parla in chiave ironica in una delle burle che resero nota l’Accademia.
Secondo gli storici, l’ipotesi più accreditata darebbe da pensare che l’Accademia sia nata nel 1922 a seguito di una gara di poesia; luogo della competizione: una taverna annessa all’albergo di don Ciccio Giordano, in piazza Palma a Canicattì. Da quel giorno, l’istituzione poetica trovò nell’osteria uno dei suoi luoghi di ritrovo; altro punto di riferimento era la farmacia di Diego Cigna, in Corso Umberto, che contro Ciccio Giordano aveva dato il via alla gara.
All’Accademia potevano partecipare tutti, molti erano i poeti, (da cui il nome ricavato dal noto monte sito in Grecia consacrato ad Apollo e alle nove Muse), che secondo la tradizione dell’istituzione, non erano solo coloro che sapevano comporre in versi, ma anche coloro i quali avevano una visione sognatrice, retta, pulita del mondo. Non vi furono mai imposti limiti d’età e ai suoi incontri poterono partecipare anche le donne. Unico elemento che mai poté essere ammesso all’Accademia, fu l’asina di padre Martines, che per questo diventò simbolo dell’Accademia
Molti dunque i personaggi che diedero il loro contributo all’istituzione letteraria, poiché per farlo non era necessario avere un’estrazione sociale elevata; secondo Santi Correnti, noto studioso delle tradizioni di Sicilia, all’Accademia parteciparono artisti e studiosi che furono e sono l’eccellenza della Sicilia e dell’Italia: si va da Luigi Pirandello a Salvatore Quasimodo, da Filippo Tommaso Marinetti a Giovanni Gentile, fino a Benedetto Croce, Marta Abba e Trilussa. Tra i membri più recenti, anche Leonardo Sciascia, che ricevette in premio un diploma dopo uno dei concorsi indetti dal quindicinale “La Torre”.
Per quanto i suoi intenti furono prettamente umoristici, molte le ‘beffe’ che varcarono persino i confini dell’Isola e anche della Penisola, l’Accademia era un ente garantito da un suo proprio statuto, deliberato in data 2 luglio 1925, e da un ordine gerarchico, di cui faceva parte anche uno dei suoi fondatori, l’oste Giordano, che in qualità di Presidente non doveva parlare mai. I suoi soci, definiti con il nome di arcadi, venivano distinti in minori e maggiori, laddove i minori ricoprivano le cariche più importanti; probabilmente un modo come un altro di farsi beffe dei ruoli sociali, un simpatico omaggio a quella che era la loro volontà di capovolgere il mondo. Un’Accademia tutta ‘tarallucci e vino’, dove tutto era bene ciò che finiva bene; gli screzi tra gerarchi erano all’ordine del giorno, ma non erano in grado di offuscare la libera produzione artistica che mescolava fantasia a realtà, con il solo obiettivo di prendersi gioco di quest’ultima, e smascherare coloro i quali erano dediti al malcostume: dai presuntuosi ai venditori di fumo, dai politici del tempo ai manierosi.
Per l’Accademia nulla era più serio del meno serio, tanto che fu proprio con la delibera dello statuto che alla scecca venne affiancato un leone, o meglio, un cane. Non c’era tempo né volontà di andare a Palermo da uno zincografo che rifacesse lo stemma, ecco perché più semplicemente venne preso un cane, ritrovato tra vecchi cliché, a cui venne apposta la menzione che quel cane era di fatto un leone. Eroe-simbolo dell’Accademia, era invece Pinco Pallino, abitante dell’antica e allegra Beozia, per cui gli arcadi avrebbero voluto innalzare una statua in suo onore.
Come ogni istituzione che si rispetti, anche l’Accademia del Parnasso aveva più di una sede, in particolare tre: una in città, una in campagna, in contrada Coda di Volpe con annesso podere, e una estiva sull’Isola di Capo La Croce, per gentile concessione dell’arcade barone. Anche l’Accademia del Parnasso aveva un motto: capovolgendo la nota esortazione di Socrate “Conosci te stesso”, gli arcadi di Canicattì ritenevano invece che bisognasse guardarsi “dal conoscere te stesso: non ci guadagneresti altro che vergogna!”.
Le burle più famose dell’Accademia furono molteplici, una riguardò una lunga discussione su chi fosse o meno il primo poeta d’Italia, un’altra, riguardava le origini del noto esploratore Cristoforo Colombo. Un finto lavoro di studi che portò i partecipanti a stilare ed inviare una relazione piuttosto articolata sia alle due accademia principali d’Italia e Spagna, sia alle riviste specializzate dell’epoca. Una diatriba che si risolse in un gioco di parole tra Colòn (Colombo) e Colliòn, da cui la assonante parolaccia: «e contate su di noi, arcadi parnassiani, per dimostrare al mondo intero che tutti i Colòn o Colliòn che dir si voglia, non possono che essere Spagnoli.»
Autore | Enrica Bartalotta