Aci Trezza è una frazione del comune di Aci Castello, affacciata su quel lembo di mar Jonio che lambisce i faraglioni dei Ciclopi, all’interno delle competenze giurisdizionali della provincia di Catania.
Il paese nacque ufficialmente alla fine del XVII secolo, ad opera di Stefano Riggio dell’Etna, che necessitò e utilizzò Aci Trezza come scalo marittimo del principato di sua proprietà (che includeva gli odierni paesi di Aci Sant'Antonio, Aci San Filippo e Valverde). Con l’abolizione del Feudalesimo, nel 1812, Trezza venne separata da Aci Sant’Antonio e successivamente accorpata ad Aci Castello, di cui oggi fa parte fin dal 1828.
Durante il Feudalesimo, Aci Trezza fu dunque un centro particolarmente ricco, sede di magazzini volti alla conservazione di diverse derrate come olio, vino, formaggi, salumi e ferro, che venivano depositati qui in attesa di essere trasferiti nell’entroterra o trasportati altrove per mare.
La storia di Aci Trezza rimane ancora oggi, indissolubilmente legata a quella delle Isole dei Ciclopi; sette tra faraglioni e isolotti basaltici disposti ad arco, che campeggiano sullo stemma comunale, insieme al noto Castello di origine bizantina.
Presso la costa antistante il comune di Aci Castello, sorgono infatti la riserva naturale integrale Isola di Lachea e Faraglioni dei Ciclopi e la riserva naturale marina Isole Ciclopi, che proteggono rispettivamente la zona terrestre e marina del piccolo arcipelago che secondo Omero fu generato dall’ira di Polifemo. Insieme al faraglione grande e piccolo, e ad altri scogli che sorgono a picco sul mare, si trova infatti l’Isola Lachea, l’omerica Isola delle Capre: 250 metri x 150 di scogli basaltici di forma ellittica, formatisi per le intrusioni di magma nelle formazioni che ricoprono il fondale marino sottostante. Il rigoglioso isolotto è protetto già dal 1998; habitat naturale delle piante autoctone di eliotropio e carlina raggio d’oro, fornisce un importante luogo di sostentamento per il ragno endemico di Sicilia (lo Zelotes messinai) e l'Urozelotes mysticus, altra specie della famiglia degli Aracnidi, di appannaggio esclusivo dell’isola.
Tra le sue rocce si nasconde anche la ‘Podarcis sicula ciclopica’, una lucertola avvistata soltanto presso le formazioni di argilla bianca e lava che caratterizzano le coste frastagliate ed erose dell’isola, luogo di sosta occasionale e di nidificazione di molte specie dell’avifauna: come la ballerina gialla, la passera sarda, la gazza, il cormorano, il gabbiano reale, e il falco pellegrino. Non a caso l’isola è sede di un centro studi del Dipartimento di Biologia dell’Università di Catania.
Nel 1869, sul territorio dell’Isola Lachea, venne rinvenuta un’ascia di formazione preistorica; risale invece al 1919 la scoperta di due tombe a grotticella. Molti e importanti sono anche i reperti storici di epoca greco-romana rinvenuti in due ampie cavità scavate nella roccia; di rilievo naturalistico e paesaggistico è invece la Grotta del Monaco, arco roccioso naturale costituito dall’azione erosiva dei venti e delle acque, denominato così perché sulla sua parete è possibile scorgere la sagoma di un monaco in atto di preghiera.
L’area marina istituita nel 2004, è volta invece a proteggere il tratto marino e di costa antistante Aci Trezza, e il tratto di mare che si stende tra Capo Mulini e Punta Aguzza. Oltre ai faraglioni di basalto, l’area ospita una ricca flora pelagica caratterizzata soprattutto da praterie di Posidonia oceanica, che affolla anche i fondali dello Stretto; ed è inoltre una zona di particolare importanza per il ruolo che ricopre, in quanto luogo di contatto, tra la fauna marina tirrenica e quella jonica.
Tra Aci Trezza, i faraglioni e il comune di Aci Castello, venne ambientato il noto romanzo di Giovanni Verga “I Malavoglia”, del 1881, nonché il capolavoro neorealistico di Luchino Visconti “La terra trema” del 1948. In base alle documentazioni e argomentazioni fornite dal Verga, si è infatti stati in grado di identificare la nota ‘Casa del nespolo’.
Insieme a tutti i comuni e frazioni che portano il nome di Aci (Aci Castello, Acireale, Aci Catena, tanto per citarne alcuni), anche Trezza deve il suo toponimo alla leggenda greca del fiume Aci (Akis), che sfociava a Capo Mulini. Secondo il mito di Ovidio, Aci era un bellissimo pastore, figlio di Fauno e Simetide. S’innamorò della ninfa Galatea ma venne ucciso dalla gelosia di Polifemo, che ne era innamorato a sua volta. Il suo sangue, per intercessione del dio Poseidone, venne trasformato in un corso d’acqua, oggi scomparso; il fiume Aci appunto. Ancora presente in Epoca Normanna, in quanto citato anche dal geografo di corte Idrisi, venne seppellito probabilmente a seguito dell’eruzione etnea del 1169, che lambì il Castello di Aci.
Autore | Enrica Bartalotta