Dopo la pace con Siracusa, il tiranno Arconide decise di concedere ai Siculi una porzione di terreni posti nella parte settentrionale dell’Isola.
L’insediamento si trovava originariamente al confine dei territori d’influenza cartaginese. Si presume che nelle vicinanza fosse già attivo un accampamento campano, stabilitosi qui dopo la pace con Siracusa, nel 405 a.C., per opera dei cartaginesi stessi. La presenza di un tempio edificato in onore del dio Adrano, il cui culto era diffuso soprattutto nella zona di Catania, farebbe pensare che fosse dunque questa l’origine dei nuovi abitanti di Halaesa.
Nel 339 a.C., Alesa Arconidea aderì all'alleanza siculo-greca voluta da Timoleonte, e in poco tempo guadagnò una posizione privilegiata all’interno del cordone delle città siculo-greche partecipanti.
Gli scavi operati in quest’area hanno dato vita al ritrovamento di alcuni manufatti, come un saccello con statuetta raffigurante una figura femminile in marmo, che starebbe ad indicare come nella città venisse probabilmente portato avanti il culto di Venere Ericina. Secondo la storia infatti, Alesa partecipò, insieme ad altre 16 città di origine troiana, al gruppo di insediamenti incaricati di fornire a turno la guarnigione volta alla protezione del Santuario.
Le monete di Alasa inoltre, presentano un’effigie rappresentata da una colonna sormontata da un cane, a testimonianza della sua funzione di controllo sul territorio; il simbolo è presente oggi nello stemma comunale di Tusa.
Dopo la conquista romana di Siracusa, si presume che Alesa sia finita sotto il controllo cartaginese, insieme a molte altre città dell’Isola. Con esse, anche Alesa ottenne il titolo di civitas libera ceduto ai Romani giunti alla sua conquista, che le consentì, oltre alla libertà da gabelle e dazi, anche numerosi privilegi, come ad esempio il mantenimento della propria moneta autonoma, che garantirono alla cittadina un periodo di prosperità, sia economia che demografica.
Nel 96 a.C., il pretore Gaio Claudio Pulcro intervenne in favore dell’istituzione del libero Senato della città, e fu come ringraziamento che venne costruita, in suo onore, una statua in marmo, che è stata rinvenuta nel XVIII secolo, ed è oggi custodita presso la sala consiliare del Comune.
In epoca augustea la città diventa municipio, e, a partire dalla metà del V secolo, si presume divenne anche sede vescovile, come sembrerebbe confermare un'iscrizione greca contemporanea ritrovata in un manoscritto custodito a Madrid.
Un documento del 522, attesta inoltre la nascita, sul territorio di Alesa, dell'abbazia di Montecassino e, alla fine del secolo, probabilmente di un convento. Nel 649, il vescovo di Alesa partecipa al Concilio Lateranense.
Per certo si sa che a seguito della dominazione bizantina i vescovi siciliani vennero sottoposti al patriarcato di Costantinopoli, e che un vescovo di Alesa partecipò ad un Concilio, nell'870. Della conquista araba della città non si sa molto: si presume che sia stata presa dai Saraceni, dopo la caduta di Siracusa, avvenuta nell’878. Nei pressi della valle è sita una torre, che gli Arabi denominarono “Migaito”; la torre fu molto probabilmente un’opera del IX secolo. In compenso, nella città di Alesa gli Arabi fecero installare una fortezza a protezione del porto, dal nome di "Qalat al Qawàrabi".
Nel 1558, Tra le rovine dell’antico insediamento messinese, vennero rinvenute, nel 1558, le cosiddette “Tavole Alesine”, lastre in marmo con iscrizioni greche, che attestavano la presenza dell’agro di Alesa, già in epoca greca. Le tavole si limitavano a fare una descrizione, piuttosto dettagliata, della zona territoriale occupata, che comprendeva dodici lotti sul lato del fiume Alesa e dodici, più un lotto doppio, dal lato del fiume Opicano; si parla inoltre di ‘Scironi’ che costituivano la cresta del costone, sulle due vallate. Inizialmente custodite presso la Compagnia del Gesù di Palermo, si dice siano state portate in Spagna e in seguito perdute. Il testo, incompleto, fu pubblicato dal principe di Torremuzza nel 1753. Un frammento probabilmente proveniente dalla stessa iscrizione, è quello che oggi rimane custodito presso l'Università di Messina.
Dalle Tavole Alesine ci è anche stata confermata la presenza di quattro templi, due entro le mura, uno dei quali dedicato ad Apollo, e due extra moenia, tra cui quello del dio Adrano, nonché dei bagni; resti di un mosaico sono stati rinvenuti nella zona di “Case Gravina”, dove si presume potesse sorgere una delle stazioni termali citate. Infine, le Tavole parlano anche della presenza di un acquedotto (alcune ‘viviere’ sono state rinvenute in località Fruscio), della "fonte Ipurra", del ‘tapanon’ e del ‘tematetis’, questi ultimi si presume siano collocati, assieme al tempio in onore di Adrano, in quella che oggi è contrada Ospedale.
Nel IV secolo a.C., Alesa fu dotata di una cinta muraria con blocchi quadrati di arenaria, che circondava la collina per ben 3 chilometri di lunghezza. Lungo il suo percorso svettavano torri, collegate da un camminamento, e almeno quattro porte; dalle porte disposte a sud-est e a sud-ovest uscivano le strade che conducevano al porto, alla città di Herbita e ad altri centri della zona.
L’abitato riprendeva la struttura geometrica regolare simile a quella che caratterizza anche l’impianto della città di Solunto. Tramite un sistema di strade perpendicolari all'asse principale, la strada pavimentata con lastre quadrate disposte a scacchiera, formava la spina dorsale degli isolati, che si allineavano a terrazza sui pendii.
Dalla via principale partiva l’agorà, impianto del II secolo a.C., dedicato al culto della città. A Est, l’area si apriva sulla vallata del fiume Tusa, sui lati Ovest e Nord si collocava invece il doppio portico a L con colonne in pietra sorreggenti una trabeazione dorica in legno stuccato; all’interno, colonne in mattoni ricoperti in stucco, sorreggevano capitelli, similmente stuccati e dipinti.
Sul fondo del portico si aprono otto ambienti bipartiti: sacelli di culto con nicchie scolpite per la disposizione di statue e altari. Uno di essi sembra fosse riservato al culto imperiale del collegio sacerdotale del sevirato augustale, dato il suo ricco rivestimento in marmi colorati; presso il portico, fu portata alla luce la statua in marmo di una Cerere, risalente al II secolo d.C., e numerose iscrizioni marmoree.
La piazza, disposta 50 metri più sotto, era stata pavimentata con mattoni e dotata di un capace sistema per la raccolta e lo smaltimento dell'acqua piovana. Qui si conservano ancora le basi di alcune statue e un podio, in opera reticolata forse rivestito in marmo, probabilmente utilizzato come tribuna per gli oratori.
Ad un livello più basso, sorge un muro lungo 39 metri, realizzato con grandi blocchi di pietra dura, caratterizzati da una decorazione a bugne. Costruito probabilmente prima della conquista Romana, fungeva da contenimento del terrapieno su cui passa la via principale e come base di colonne ornate da statue, rinvenute proprio nell’area; una delle quali si pensa potesse esser stata scolpita in onore di Gerone di Siracusa. Secondo Cicerone, questo complesso potrebbe essere identificato come il Ginnasio.
La zona sottostante è occupata da un settore di quartieri che componevano l’abitato. In uno degli edifici, è stata portata alla luce una grande vasca quadrata, ornata con blocchi in pietra dura; si pensa che potesse essere circondata da un colonnato e che quindi fosse un edificio pubblico oppure una casa patrizia con peristilio.
Al di sopra della porta di nord-est, sorge una struttura muraria di circa 120 metri a forma di arco; i cosiddetti "contrafforti" si presume fosse il viadotto di una delle strade principali. Nella zona sono stati rinvenuti diversi frammenti decorati, anche i resti di una iscrizione in stucco, che fanno pensare che anticamente quest’opera potesse essere riccamente ornata. Concludono il complesso dell’acropoli, le fondamenta di due edifici di culto.
Fuori le mura, nello spazio antistante le due porte direzionate a Sud, si trova un colombario, privo di volta, con pareti in opera reticolata e nicchie adibite alla deposizione delle urne. Qui sorgeva la necropoli d’epoca romana, ma dai ritrovamenti si deduce che vi fosse anche una più antica necropoli, di origine siculo-greca.
Autore | Enrica Bartalotta