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Dal Ciansu alla Zalora, ecco gli antichi nomi dei frutti siciliani

Alla scoperta dei nomi antichi dei frutti siciliani.

  • Granatu, Cutugnu, Zinzula e molti altri: li sai riconoscere?
  • Facciamo un salto nel passato con la scoperta di alcuni nomi che non sentiamo più pronunciare.
  • La lingua siciliana della tradizione ci riserva sempre grandi sorprese.

Continua il nostro viaggio di scoperta della lingua siciliana. Per approfondirla meglio, abbiamo pensato di fare un tuffo nel passato, concentrandoci su alcuni prodotti della tradizione. I frutti siciliani ci offrono un validissimo spunto in tal senso: alcuni degli antichi nomi che troverete di seguito, oggi sono soltanto un ricordo. È bello conoscerli e recuperarli, scoprendo un’altra piccola pagina della storia della nostra isola.

Cominciamo dalla ‘nzinzula, cioè la giuggiola, un frutto dalla polpa farinosa e dolciastra, simile al dattero. Se, invece, diciamo zalora, stiamo parlando delle azzeruole: frutti dissetanti e rinfrescanti, che si possono anche conservare sotto spirito, per essere utilizzati in pasticceria.Il cutugnu è facilissimo da indovinare: si tratta della mela cotogna, molto profumata e perfetta per realizzare confetture e gelatine. Con il nome pumu, invece, si indica la mela, un frutto che non ha bisogno di presentazioni!

Se vi chiedessero un granatu, a cosa pensereste? Si tratta del melograno, con i suoi chicchi che sembrano pietre preziose (proprio come i granati!). La niaspula è, naturalmente, la nespola. Per indicare le sorbe, frutti aspri e ricchi di tannino, invece, in Sicilia si usa il termine zorba. Una vera chicca è l’antico nome del gelso: ciansu. Questo frutto è molto amato, con i suoi preziosi frutti che vengono impiegati per preparare una delle granite più buone. Limuni, mannarinu e aranciu sono un trio imbattibile, con il colore e la forza degli agrumi siciliani. Per chiedere un’albicocca, potete tranquillamente dire fraccoca mentre, per le ciliegie, cirase. Guai a confondere piru e piruni! Il primo indica la pera, il secondo le susine. Chiudiamo in dolcezza con la racina, cioè l’uva.

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Foto di Angelo Cutaia

Redazione