Avrete sicuramente già sentito dire il termine Antudo, ma vi siete mai chiesti da dove deriva e perché è stato utilizzato in Sicilia? Per poter rispondere a queste domande, dobbiamo fare un salto indietro nel tempo, alle prime fasi dei Vespri Siciliani.
In quel momento storico, infatti, gli organizzatori lo utilizzavano come segno di riconoscimento. È stato anche ricorrente durante le rivolte siciliane del 1647 nei moti del 1820 e nel corso della rivolta antiborbonica del 1847, nonché negli anni Quaranta del XX secolo. Partendo da allora ed arrivando ai giorni nostri, ha continuato e continua ad essere utilizzato da diversi movimenti autonomistici e indipendentistici, che a tutt’oggi lo usano. Viene anche sicilianizzato in “Antudu“.
Non tutti gli studiosi sono concordi sulle origini, ma di fondo ce c’è una che accomuna molti. Il termine Antudo è stato spiegato dallo storico catanese Santi Correnti: proviene dall’espressione latina “Animus Tuus Dominus“, prendendo le prime due lettere di ognuna delle parole. Il significato della frase è “Il coraggio è il tuo signore“.
La stessa parola venne anche scritta nella bandiera della Sicilia: il 3 aprile 1282 veniva adottata la bandiera giallo-rossa, con al centro la Triscele, che diverrà il vessillo della Sicilia e lo sfondo dei colori rosso Palermo e giallo di Corleone, in seguito di un atto di confederazione stipulato da 29 rappresentanti delle due città.
Progenitrici dell’indipendentismo moderno, furono sicuramente le Lotte dei Vespri: scoppiate a Palermo e intraprese dai siciliani alla fine del Duecento. Il movimento era volto a separare la Sicilia dal potere ‘dello straniero’, per liberarla da una dominazione diversa dalla propria (a quel tempo, franco-angioina).
L’idea di indipendentismo vera e propria infatti, non nasce prima dell’avvento del Romanticismo e del concetto di Stato-Regione; ma a dispetto di ciò, furono diverse le iniziative di ribellione e le idee di indipendenza, che caratterizzarono la storia siciliana, dall’Antichità a oggi: dalla rivolta dei Siculi con Ducezio, a quelle che furono le lotte degli schiavi, in tempo Romano, sotto l’egida e la guida di Euno.
Il concetto di scissione da un potere dominante, esterno ai confini della propria regione, affonda le radici nel principio base secondo cui la Sicilia è una Nazione che possiede una propria storia, una propria cultura e una propria lingua, e sull’assunto che essa non potrà raggiungere il suo massimo sviluppo culturale, sociale ed economico, se prima non riuscirà ad avere una propria struttura amministrativa autonoma.
Fu così che negli anni Quaranta del Novecento, prese piede il movimento separatista di Andrea Finocchiaro Aprile e di Antonio Canépa, professore universitario della Regia Università di Catania, di idee socialiste e rivoluzionarie. Il primo, proprio a ridosso della Liberazione, sostenne l’importanza di una Sicilia indipendente e responsabile; il secondo, con l’istituzione dell’EVIS, l’Esercito Volontario per l’Indipendenza della Sicilia, portò la regione a firmare un accordo (tramite Concetto Gallo, suo successore) con il Governo Italiano, che condusse all’istituzione dell’Autonomia speciale del ’46, tramite regio decreto e legge costituzionale poi, che ancora oggi sancisce determinate libertà amministrative, finanziare e legislative alla regione.
Due anni più tardi, con la conversione del regio decreto in legge, seguirono a ruota anche altre regioni: la Sardegna, la Valle d’Aosta, il Trentino-Alto Adige e il Friuli-Venezia Giulia.
Di Enrica Bartalotta – foto: Depositphotos.com.