L’Apostolica Legazia di Sicilia era un’istituzione religiosa di Sicilia, che venne realizzata nel periodo normanno, per volere di papa Urbano II. Fu abolita nel 1871.
Entità giuridica autonoma, sotto il dominio del re, la prima Legazia risale al 1098, quando in Sicilia, sotto il governo dei normanni, erano ancora diffusi la religione cristiano-ortodossa e il rito islamico. L’obiettivo della Legazia, era quello di accorpare, sotto la sua egida, tutte le terre e i possedimenti di Sicilia che fossero fedeli alla Chiesa di Roma. Fin dal tempo dell’imperatore Giustiniano I infatti, i territori siciliani venivano identificati come latifondi della diocesi di Roma, ovvero “Siciliae patrimonium ecclesiae”, le cui produzioni economiche erano gestite dal clero, mentre quelle politiche erano gestite dal sovrano, Ruggero I, che con la sua politica sosteneva la chiesa bizantina.
Per poter tutelare i suoi possedimenti all’interno della Sicilia, Urbano II propose dunque a re Ruggero di farsi capo della Legazia, diventando il primo laico ad ottenere privilegi amministrativi su terre del clero, che subivano il potere politico degli Altavilla, da cui discendeva il re, strenui sostenitori della tradizione greco-basiliana. Con bolla papale, il sovrano venne fatto “legatus Siciliae”, ovvero colui al quale veniva affidata anche la nomina delle cariche episcopali e il patrimonio amministrativo delle diocesi. Un potere che iniziò con Ruggero I e proseguì fino a Carlo II d’Angiò e ai governi aragonesi, passando per la conferma del successore di Urbano II, papa Pasquale II, che ne affidò il dominio a Ruggero II.
La prima arcidiocesi di Sicilia ad essere fondata fu quindi quella di Monreale, nel 1117, la cui formalizzazione avvenne con l’edificazione della cattedrale in stile arabo-normanno, del 1174. Sotto la sua giurisdizione, rientrarono tutte le chiese dell’area meridionale di tradizione bizantina, la quale consente il dominio di un sovrano purché cristiano. Papa Clemente IV passa gli stessi poteri e privilegi a Carlo I d’Angiò all’indomani della sua invasione della Sicilia; a lui venne affidata l’amministrazione del patrimonio delle sedi rimaste vacanti. Un privilegio che si estese fino al governo aragonese e a re Filippo II di Spagna, con il titolo di ‘jus legationis’.
La Legazia tornò a far parlare di sé nel Settecento, con la cosiddetta controversia liparitana, che causò il primo attrito nei rapporti tra Chiesa e Stato. La storia narra che gli uomini del vescovo di Lipari si recarono al mercato con un sacco di ceci, per venderlo. Degli esattori vollero però far pagare al vescovo un tributo, detto plateatico, per consentire agli emissari e al vescovo, di usufruire del suolo su cui sorgeva il mercato, e quindi poter vendere il sacco di ceci. Il vescovo, indispettito da tale affronto, emise una scomunica nei confronti dei due giovani, scomunica che venne ritirata dal re, sotto cui appunto vigeva il potere della Legazia.
Successivamente, papa Clemente XI rivendicò il diritto di appello sulla sentenza promulgata dal re. Il piccolo scontro, iniziato nel 1711 non venne risolto che diversi anni dopo; se ne parlò anche nei documenti emessi dalla corona spagnola e dai Borbone di Napoli, apparì due secoli dopo in un’opera di Leonardo Sciascia e lo citò anche Andrea Camilleri nel suo romanzo storico “Il re di Girgenti”.
Con l’Unità d’Italia, la Legazia divenne privilegio esclusivo del re Vittorio Emanuele II; l’istituzione venne abolita undici anni dopo, nel 1871.
Autore | Enrica Bartalotta