Arancino o Arancina, al di là del nome, una cosa è certa: parliamo di una specialità della cucina siciliana. Difficile arrivare a un punto di incontro su maschile e femminile, ma sicuramente facile lasciarsi conquistare da questa delizia a base di riso impanato e fritto, farcito generalmente con ragù o con prosciutto cotto e mozzarella. La storia di questa pietanza tipica dello street food siciliano è controversa e non facile da ricostruire. Anche per questo, nel corso del tempo, si è creato un vero e proprio mito intorno al modo in cui lo si chiama, una infinita diatriba. Conoscere la storia delle arancine è sicuramente interessante, perché ci permette di curiosare in una pagina di storia della cucina siciliana ricca di gusto. Partiamo, dunque, nel nostro viaggio alla scoperta degli arancini.
I tipi di arancino più diffusi sono al ragù di carne o “al burro”, cioè con mozzarella, prosciutto e, talvolta, besciamella. Molto gettonati anche quelli agli spinaci, alla Norma (chiamato anche “alla catanese”) o al pistacchio di Bronte. Non mancano le sperimentazioni, con l’utilizzo di frutti di mare o ancora, funghi, salsiccia, salmone, pesce spada e nero di seppia. Esistono anche delle versioni dolci: si preparano con il cacao e si coprono di zucchero. All’interno possono avere crema alle nocciole o al cioccolato. Una piccola curiosità: in Campania esistono le “pall’e riso”, rotonde e più piccole delle arancine. Sono ripiene di riso al sugo o al ragù, con aggiunta di piselli, carne e mozzarella.
Le origini dell’arancino sono discusse. Non vi sono molte fonti storiche che le possano chiarire con certezza, quindi molti autori si sono cimentati nell’immaginarle, a partire dall’analisi degli ingredienti. Per via della presenza dello zafferano se ne è supposta un’origine alto-medievale, legata al periodo della dominazione musulmana. In quel momento sarebbe arrivata in Sicilia l’usanza di consumare riso e zafferano condito con erbe e carne. Agli arabi vengono collegati l’originario aspetto e la denominazione, dato che abbinavano nomi di frutti alle preparazioni di forma sferica, come riporta Giambonino da Cremona. Per quanto riguarda la panatura, invece, si collega alla corte di Federico II di Svevia, quando si cercava un modo per portare in viaggio il cibo. La panatura croccante conserva il riso e permette di trasportarlo.
Molte fonti citano il termine “arancinu“, a cominciare dal “Vocabolario siciliano etimologico, italiano e latino” di Michele Pasqualino. Qui è riportato come “del colore della melarancia, rancio, croceus”. Da questa edizione, fino alla metà del XIX secolo, il lemma arancinu indicava un tipo di colore, principalmente. Nel trapanese e in altre località era diffuso il termine “arancina”. La prima fonte a menzionare “arancine” sarebbe il romanzo “I Vicerè” di Federico de Roberto. Bisogna attendere il 1857 per trovare la prima documentazione scritta in cui si parli esplicitamente di arancini come pietanza. Nel “Dizionario siciliano-italiano” di Giuseppe Biundi del 1857 si parla di “una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia”. L’arancino, quindi, potrebbe essere nato come dolce, presumibilmente durante la festività di Santa Lucia, diventando poi salato.
Sull’origine della versione dolce, comunque, rimangono molti dubbi. Sempre in relazione alla festa di Santa Lucia a Palermo, secondo tradizione, nel 1646 approdò una nave carica di grano, che pose fine a una carestia. L’evento è stato ricordato con la creazione della cuccìa, quindi si può credere che i primi arancini dolci fossero una versione da asporto della cuccia. Per quanto riguarda, invece, la diffusione delle arancine nel mondo, si deve all’emigrazione dei siciliani all’estero. Questi, almeno nella fase iniziale, fondarono rosticcerie nei luoghi in cui si stabilirono, portando con sé le ricette regionali. In tempi più recenti sono state create rosticcerie di qualità in Italia e all’estero.
Difficile rispondere all’annosa domanda arancina/arancino. Sappiamo che nella parte occidentale dell’isola si predilige la versione al femminile, in quella orientale arancino. Secondo lo scrittore Gaetano Basile, la pietanza dovrebbe essere chiamata arancina, perché deriverebbe dal frutto dell’arancio, l’arancia appunto, che in lingua italiana è declinato al femminile. In siciliano, tuttavia, la declinazione al femminile dei frutti non è frequente quanto in italiano, e nel caso specifico l’arancia viene detta arànciu. Il Dizionario siciliano-italiano del palermitano Giuseppe Biundi, che nel 1857, al lemma arancinu, scrive: “[…] dicesi fra noi [in Sicilia] una vivanda dolce di riso fatta alla forma della melarancia”. Sull’argomento si è espressa anche l’Accademia della Crusca, affermando la correttezza di entrambe le diciture.
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