Arte e cultura

Argenti di Paternò, il tesoro siciliano finito a Berlino

Dalla Sicilia alla Germania, gli argenti di Paternò.

  • Si tratta di una serie di 7 manufatti in argento, rinvenuti a Paternò nel 1909.
  • Attualmente sono conservati presso il Pergamonmuseum di Berlino.
  • Ecco qual è la loro storia e come hanno fatto a finire così lontani.

Il territorio siciliano è ricco di preziose testimonianze del passato. Alcune di queste, dopo essere state ritrovate, sono andate lontano dalla loro terra d’origine. Gli argenti di Paternò furono trovati casualmente da una contadina, nel 1909, nei pressi della Rocca normanna. In principio erano 9 o 10 pezzi (oggi se ne contano 7). Furono, quindi, venduti per pochi soldi, a due ricettatori catanesi, che smembrarono la serie. La parte maggiore finì a Napoli e fu acquistata da due commercianti parigini, che la fecero restaurare da Alfred André. Così, nel 1911, a Parigi vendettero il primo dei sette pezzi a Robert Zahn, allora conservatore dell’antiquarium dei Musei reali di Berlino. Nel 1913 e nel 1914, i rimanenti sei pezzi vennero in possesso dell’Antiquarium come donazione della ricca famiglia berlinese Von Siemens, che li aveva acquistati dallo stesso Zahn. Adesso la sezione Hybla Major dell’Archeoclub d’Italia ha costituito un comitato provvisorio per chiedere il ritorno degli argenti in Sicilia.

Le caratteristiche degli argenti

Zahn, nel suo testo, attribuisce una datazione incerta tra il IV e III secolo a.C., collegando gli argenti di Paternò all’oreficeria tarantina, ma di quest’attribuzione non dette alcuna prova. Sull’onda di tale riferimento gli argenti vennero dal Wuilleumier attribuiti a Taranto “con molta verosimiglianza anche se l’autore, cioè Zahn, non giustifica”. Vennero, dunque, considerati tarantini senza alcun riferimento critico che non fossero le analogie con decorazioni ceramiche dei vasi apuli; né riguardo alla cronologia, né in ordine al problema del luogo di produzione. I sette pezzi sono: una pisside a rocchetto con manico; una pisside a conchiglia; una bicchiere con baccellature; tre kylix; una phiale chrysomphalos.

In seguito la pisside a forma di conchiglia munita di cerniera ed anello e decorata all’esterno con polipo è stata attribuita piuttosto alla toreutica d’ispirazione alessandrina databile al III secolo a.C. Si tratta di contenitori rientranti nell’artigianato toreutico di lusso nell’ambito della cosmesi e sacri ad Afrodite. Tra il 1912 e 1915, l’archeologo Paolo Orsi diede notizia del fatto che, oltre al tesoro di argenterie, sulla stessa collina furono trovati due tesoretti monetali: il primo, in parte disperso, del V secolo a.C., il secondo di età romano-repubblicana.

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Foto: Lestat

Redazione