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La tradizione della mattanza è ricca di aspetti affascinanti, che incuriosiscono e appassionano chiunque ne venga a conoscenza. Quella di Favignana è tra le più note e anche la BBC ha deciso di approfondirne la conoscenza, soffermandosi in particolare sui canti dei pescatori, andando alla ricerca dei loro segreti.

“Una comunità affiatata di pescatori, seguendo un capo tradizionale noto come rais, prendeva il mare con le proprie barche e intonava un coro di antiche e bellissime canzoni. Il rais guidava il coro e supervisionava anche la complessa routine della pesca, nota come mattanza, che letteralmente significa ”massacro”, si legge, nell’articolo a firma di Alessia Franco e David Robson.

Tramandati di generazione in generazione, raccontano il legame tra gli isolani e il mare, da cui dipende il loro sostentamento. L’ultima mattanza a Favignana risale al 2019: “Il rituale è terminato perché le riserve di tonno si erano gravemente esaurite, a causa di altri metodi di pesca più intensi e della domanda globale di tonno. I metodi di pesca tradizionali e potenzialmente più sostenibili erano poco redditizi”, sottolinea la BBC.

“La mattanza è la mia vita fin da quando ero molto piccolo. Aiutavo a terra, a selezionare le fibre di cocco, che servivano per fare le reti”, ha raccontato Salvatore Spataro, ultimo rais della mattanza. “Ora noi vecchi analizziamo il vento e come potrebbe influenzare la pesca, ma mi manca vedere le barche in acqua. Non voglio credere che sia finita”, ha aggiunto.

I canti della mattanza proteggevano i pescatori

L’articolo sottolinea il profondo valore anche sociale della mattanza: “La pesca del tonno è strettamente intrecciata con la storia culturale dell’intero arcipelago, che è costituito da isole più grandi come Favignana, Levanzo e Marettimo, e da una serie di isole più piccole. Alcune di esse sono poco più che massi gettati in mare. Si pensava che i canti che accompagnavano la mattanza proteggessero i pescatori di queste isole e portassero fortuna nel loro lavoro, ma trasmettevano anche importanti conoscenze su quando e come pescare in un modo che ha permesso alla pratica di continuare per generazioni”.

Secondo alcuni esperti, la mattanza potrebbe anche riflettere pratiche di pesca preistoriche. Altri, come lo storico francese Fernand Braudel, suggeriscono che il metodo provenga dagli antichi Fenici. Quel che è certo, è che il rais ha sempre avuto un ruolo cruciale nel controllo dei pescatori, ricoprendo una posizione molto rispettata da tutta la comunità locale. “Una volta, il rais era come il sindaco“, ha spiegato Spataro. Tutto ruotava attorno a questo maestro, dalla gestione dell’equipaggio al posizionamento delle reti in mare, fino al recupero delle reti. Il rais stabiliva i tempi, indicando anche quando i pescatori cantavano e tacevano.

La tradizionale sequenza di canti si chiama cialoma. La parola, secondo l’etnomusicologo Sergio Bonanzinga dell’Università di Palermo, deriva da un’antica parola greca che significa comandare o esortare, attraverso l’antica parola siciliana chiloma, “grido dei marinai“. “Il canto inizia con un uomo solo”, ha detto Spataro, “al quale segue il coro degli altri pescatori, mentre tirano le reti”. Il rais non canta, ma dirige gli altri con un fischietto e con le mani, “come il direttore d’orchestra”.

C’è anche una fortissima componente spirituale: l’ingresso nel labirinto di reti era segnato da una croce di legno, sulla quale erano incisi i nomi dei santi invocati nei canti, come San Pietro, Sant’Antonio e la Madonna del Calvario. Si concludeva invocando Gesù. I pescatori cantavano anche mentre montavano e smontavano le reti da tonno. Le canzoni per questa fase erano più giocose delle altre e rasentavano il profano. Foto: Depositphotos.com.