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Tra i personaggi che popolano “Il Gattopardo“, romanzo capolavoro di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, ce n’è uno che si distingue per forza simbolica e carica espressiva: Bendicò.

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Non è un nobile siciliano né un ufficiale garibaldino, ma un grande cagnolone, il fedele compagno del Principe di Salina.

La sua presenza non è solo affettiva, ma rappresenta il cuore pulsante della decadenza aristocratica raccontata nel libro.

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Anche nella nuova serie Netflix “Il Gattopardo“, in onda dal 5 marzo, Bendicò occupa un posto d’onore. Durante la première, l’imponente cane ha sfilato come una vera star accanto alla splendida Benedetta Porcaroli, che nella serie veste i panni di Concetta.

Bosco, il gigante dal cuore nobile che interpreta Bendicò

L’animale scelto per dare vita a Bendicò ne “Il Gattopardo” è Bosco, un magnifico levriero irlandese, di due anni (al momento delle riprese aveva 8 mesi), noto anche come Irish Wolfhound. Questa razza, di origine celtica, è tra le più imponenti al mondo e si distingue per la sua statura maestosa e il carattere nobile.

Con un’altezza al garrese che supera gli 80 cm e un peso che può oltrepassare i 60 kg, il levriero irlandese è un vero gigante dal portamento elegante. Il suo pelo ruvido, che copre interamente il corpo, può presentarsi in diverse tonalità, tra cui grigio, tigrato, rosso, nero, bianco o fulvo.

Nonostante la sua imponenza, Bosco incarna alla perfezione l’anima del personaggio che interpreta: un cane dal cuore gentile, noto per la sua indole dolce e socievole. Affettuoso e leale, questo levriero irlandese rappresenta al meglio lo spirito aristocratico e fiero di Bendicò, simbolo stesso della decadenza e della grandezza della famiglia Salina.

Bosco non è solo una star della televisione: nella vita reale aiuta altri cani in difficoltà in un rifugio per cani abbandonati.

L’errore che pochi hanno notato

Nonostante l’ottima resa scenica di Bosco nel ruolo di Bendicò, c’è un dettaglio che ha fatto storcere il naso agli appassionati del romanzo: la razza del cane è sbagliata. Nel libro, Tomasi di Lampedusa descrive Bendicò come un Alano, un cane possente e maestoso, perfetto per incarnare la decadenza dell’aristocrazia siciliana.

Nella serie, invece, la produzione ha scelto un Levriero Irlandese, razza storicamente utilizzata per la caccia ai lupi e ai cervi, dall’aspetto elegante e dal portamento nobile. Un animale, di certo straordinario, ma ben diverso dall’Alano descritto nel romanzo.

Questo cambiamento non è un semplice dettaglio, perché la presenza di Bendicò non è meramente estetica: la sua fisicità rappresenta la forza e la rovina della casata Salina. L’Alano, con la sua struttura massiccia, si prestava perfettamente a questo simbolismo, mentre il Levriero Irlandese, seppur imponente, ha una connotazione più slanciata e meno imponente in termini di muscolatura.

La scelta di Bosco è stata curata dall’addestratrice Carolina Basile, la stessa professionista che ha lavorato con Linneo, il cane protagonista della serie “Blanca”. La decisione di optare per un Levriero Irlandese potrebbe essere stata dettata da ragioni pratiche o scenografiche, ma ha modificato l’essenza del personaggio animale più iconico della letteratura italiana.

Bendicò, la chiave di lettura del Gattopardo

Bendicò non è solo un fedele compagno del Principe di Salina, ma una metafora della decadenza della nobiltà siciliana. La sua presenza nel romanzo è carica di significato, dall’energia vitale che porta nella casa dei Salina alla sua fine, quando il suo corpo imbalsamato viene gettato via come un oggetto inutile.

Nella letteratura italiana, pochi animali hanno un ruolo così centrale e potente. In una lettera del 1957, lo stesso Tomasi di Lampedusa scrisse che Bendicò è la chiave di lettura dell’intero romanzo. Il cane attraversa le pagine con un’irruenza che spezza la rigidità aristocratica della famiglia Salina, portando con sé l’energia del cambiamento e l’inevitabilità del declino.

Curiosamente, lo storico Salvatore Savoia ha scoperto che Bendicò è realmente esistito. Il suo corpo fu imbalsamato nel 1882 e affidato a Giuseppe Modena della Regia Università di Palermo per 81 lire. Questo dettaglio rafforza ancora di più il legame tra realtà e letteratura, trasformando Bendicò in una figura che continua a vivere nelle pagine del romanzo e nella memoria collettiva.

Nonostante l’errore di razza nella serie Netflix, il nuovo Bendicò mantiene intatto il suo fascino e nobile portamento, restituendo al pubblico il carisma di un personaggio iconico. Anche nella nuova trasposizione Bendicò continua a vivere, testimone silenzioso di una storia che non smette di affascinare.

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