La Sicilia è ricca di riserve naturali. Alcune di esse vantano una storia antica e hanno subito nel corso dei secoli importanti trasformazioni, dovute anche allo sfruttamento del territorio. Una storia non sempre fortunata, come nel caso del Bosco di Santo Pietro. Le notizie storiche più antiche risalgono al 1143: il bosco, incluso nella baronia detta di Fatanismo e Fetanasim, venne venduto per 40mila tarì dal re normanno Ruggero alla città di Caltagirone. Questa, per la fedeltà nella lotta contro i Saraceni, ebbe anche lo status di città demaniale. La concessione del sovrano, confermata dai successori fino a Ferdinando I di Borbone, permise alla popolazione di sfruttare liberamente le risorse offerte dal bosco. Il nome “Santo Pietro” si incontra per la prima volta nel diploma di Maria e Martino del 1392, mentre la scissione tra i due nomi, (Fetanasim e Santo Pietro) giungerà al tempo di Alfonso d’Aragona.
Per soddisfare le richieste sovrane di contribuzioni, per non ricorrere a nuove tasse indirette si effettuò il primo smembramento e si concessero a nuovi baroni i feudi di Bidino, Favara, Graneri, Mazzarone, Ramione e Sciri. La parte rimasta a Caltagirone, notevolmente ridotta, prese il nome di Santo Pietro. Nel 1901 l’ex feudo di Santo Pietro fu dichiarato bene demaniale e, da quel momento, sottoposto a quotizzazioni continue, con conseguente deforestazione e smembramento. Originariamente il bosco s’estendeva lungo tutta la fascia sud-orientale della Sicilia, dall’entroterra calatino sino alle zone costiere della città di Gela e Scoglitti. I ripetuti incendi, la carenza di manutenzione, i pascoli abusivi e la caccia di frodo hanno peggiorato la situazione. Nel 1999 è stata istituita la Riserva Naturale Orientata allo scopo d’arginare il degrado ed invertire la tendenza.
Nonostante la sua storia un po’ travagliata, il Bosco di Santo Pietro conserva ancora angoli di rigogliosa vegetazione. In contrada Molara, nei pressi della fontana del Cacciatore, si può percorrere un tratto di bosco integro, con varie specie vegetali tipicamente boschive e di macchia. L’antropizzazione del territorio ha portato alcune strutture come i Mulini Ramione Bizzinisi o dei palmenti. Sono sorte anche due chiese: quella di Santa Maria di Betlemme in Terrana e quella di Santa Maria dell’Itria in Renelle. La prima è antecedente al 1227. Di rilievo, inoltre, la Stazione Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia, istituita nel 1927, nel contesto della “Battaglia del grano“: ancora oggi continua a svolgere un’attività di ricerca e analisi nel campo della cerealicoltura.
Foto di Davide Mauro – Opera propria, CC BY-SA 4.0