Chi è Bruno Contrada, biografia. Dove è nato, quanti anni ha, cosa ha fatto l’ex funzionario, agente segreto e ufficiale di Polizia italiano. Quali ruoli ha ricoperto, attività come numero tre del Sisde, capo della Mobile di Palermo e capo della sezione siciliana della Criminalpol.
Bruno Contrada nasce a Napoli il 2 settembre del 1931, quindi nel 2023 compie 92 anni. Entra in polizia nel 1962 e, dopo alcuni ruoli nel Lazio, gli viene affidata nel 1973 la direzione della squadra mobile di Palermo. Indaga, tra gli altri, sulla scomparsa del giornalista Mauro De Mauro, assassinato 1970.
Nel 1976 lascia a Boris Giuliano la guida della mobile palermitana per passare alla Criminalpol. Transita negli anni Ottanta nei ruoli del SISDE, con l’incarico di coordinarne i centri della Sicilia e della Sardegna. Diviene Capo di Gabinetto dell’Alto Commissario per la lotta contro la mafia, incarico che ricopre fino al dicembre del 1985; Nel 1986 viene chiamato a Roma presso il Reparto Operativo della Direzione del SISDE.
Contrada dirige diverse azioni e arresti a trafficanti di droga, nonché operazioni contro alcune famiglie mafiose. Si fa promotore di una riorganizzazione del SISDE, sostituendo la prevalente funzione antieversiva con una specifica funzione antimafia.
Nel mese di dicembre del 1992 Bruno Contrada viene arrestato poiché accusato di concorso esterno in associazione di tipo mafioso, sulla base delle dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Rimane in regime di carcere preventivo fino alla fine del luglio del 1995. Il primo processo a suo carico si conclude nel gennaio del 1996: il pm Antonio Ingroia chiede la condanna a 12 anni, i giudici dispongono 10 anni di reclusione e 3 di libertà vigilata.
L’ex magistrato Gian Carlo Caselli sul caso Contrada osserva che: “Tutte le sentenze di condanna a suo carico concludono dicendo che l’imputato ha dato il contributo sistematico e consapevole sia alla conservazione sia al rafforzamento di Cosa Nostra. Ci sono state ”soffiate” per consentire la fuga di latitanti in occasioni di imminenti operazioni di polizia. Tre volte in favore di Totò Riina e di altri due latitanti mafiosi nel 1981. Risulta che l’imputato si sia mosso con la Questura per far avere la patente a Stefano Bontate e a Michele Greco detto ”Il Papa”. A monte delle soffiate c’erano amichevoli contatti con Bontate, Salvatore Inzerillo, Michele Greco e Salvatore Riina: tutti mafiosi ai vertici di Cosa Nostra. In sostanza, secondo un pentito, dire che Contrada era nelle mani di Cosa Nostra era come dire pane e pasta: tutti lo sapevano“.
Nel mese di maggio del 2001 la Corte d’appello di Palermo assolve Bruno Contrada perché il fatto non sussiste. Il 12 dicembre 2002 la Corte di cassazione annulla la sentenza di secondo grado, ordinando un nuovo processo. Al termine del nuovo processo, il 25 febbraio 2006 i giudici di secondo grado confermano, dopo 31 ore di camera di consiglio, la sentenza di primo grado che condannava Bruno Contrada a 10 anni di carcere e al pagamento delle spese processuali. Il 10 maggio 2007 la Corte di cassazione conferma la sentenza di condanna in appello. La corte esclude però che avesse agito per denaro. Contrada viene rinchiuso nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta.
Il 24 settembre 2011 la Corte d’appello di Caltanissetta ritiene che “non è manifestamente infondata” la richiesta di revisione del processo, ma l’8 novembre seguente la Corte dichiara definitivamente inammissibile la richiesta di revisione del processo. Il 5 giugno 2012 la Corte di Cassazione dichiara inammissibile la richiesta di revisione del processo.
Bruno Contrada si dichiara innocente e afferma di aver lavorato a contatto con informatori legati alla mafia per aiutare le indagini, con una prassi d’infiltrazione tipica di servizi segreti, poliziotti sotto copertura e ambienti militari. Dichiara a Repubblica nel 2015: “Stavo per prendere Provenzano e fui fermato. Ora voglio la revisione della sentenza di condanna… Mi hanno distrutto la vita, avevo i miei confidenti ma non ho mai visto un boss… So che il mio lavoro ai Servizi era inviso alla direzione antimafia”.
Secondo Contrada l’accusa è una vendetta dei pentiti, della mafia e anche di alcuni magistrati: “Chi combatte la mafia rischia il fango… Per lo Stato ho dato tutto. Io amico della mafia? Se solo ci penso, ci sto ancora male. Ne sono uscito distrutto nel morale, nel fisico“.
Alla fine del 2007, l’avvocato difensore di Bruno Contrada invia all’allora presidente della Repubblica Giorgio Napolitano una “accorata supplica” per concedergli la grazia, in mancanza di un’esplicita richiesta da parte dell’interessato che, ritenendosi innocente, non intende inoltrarla. Il 28 dicembre 2007 il magistrato di sorveglianza dispone il ricovero di Contrada presso il reparto detenuti dell’ospedale Cardarelli di Napoli, ma il giorno dopo questi chiede di tornare in carcere a causa delle condizioni del reparto giudicate «da incubo» dal suo avvocato.
Rientrando in carcere, assegna mandato al proprio legale di presentare istanza di revisione del processo, istanza respinta dal tribunale di Napoli, insieme alla richiesta dei domiciliari. Il 10 gennaio 2008 il Presidente della Repubblica invia una lettera al ministero della Giustizia per revocare l’avvio dell’iter, ponendo fine, di fatto, alla querelle giudiziaria.
Contrada chiede gli venga praticata l’eutanasia il 16 aprile 2008: la richiesta è presentata al giudice tutelare del tribunale di Santa Maria Capua Vetere dalla sorella, che spiega che Contrada “vuole morire” perché “questa sembra l’unica strada percorribile per mettere fine alle sue infinite pene“. Il 21 luglio dello stesso anno i suoi legali diffondono la notizia che in carcere sarebbe dimagrito di 22 chili per dimostrare la sua incompatibilità col regime carcerario. Il 24 luglio 2008 sono concessi a Contrada gli arresti domiciliari per motivi di salute; al provvedimento segue la scarcerazione.
Bruno Contrada viene scarcerato l’11 ottobre del 2012. Poco dopo pubblica la storia della sua vicenda nel libro “La mia prigione”. All’uscita del carcere rende la seguente dichiarazione: “Non odio nessuno, ma sono certo che prima o poi verrà il momento, e probabilmente non ci sarò più, che la verità sulla vicenda sarà ristabilita e qualcuno allora dovrà pentirsi del male che ha fatto a me e anche alle istituzioni”.
Nel febbraio del 2014 la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU), organo del Consiglio d’Europa, condanna lo Stato italiano poiché ritiene che la ripetuta mancata concessione dei domiciliari a Contrada, sino al luglio 2008, pur se gravemente malato e malgrado la palese incompatibilità del suo stato di salute col regime carcerario, sia una violazione dell’art. 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali di cui l’Italia è firmataria e a cui la sua giurisdizione è vincolata. Gli vengono refusi 10000,00 euro per i danni morali, 5000,00 euro per il rimborso spese oltre oneri accessori ed interessi legali calcolati come nella generalità delle cause presso la CEDU.
Il 14 aprile 2015 la CEDU condanna lo Stato italiano stabilendo un risarcimento per danni morali di 10.000 euro a Bruno Contrada per i danni morali e 2.500 euro per le spese processuali sostenute, perché non doveva essere condannato per concorso esterno in associazione mafiosa dato che all’epoca dei fatti (1979-1988), il reato non era codificato e “l’accusa di concorso esterno non era sufficientemente chiara”.
Per i giudici di Strasburgo l’Italia ha violato anche l’articolo 7 della convenzione dei diritti dell’uomo, che si basa sul principio “nulla poena sine lege” (principio di irretroattività), cioè che “nessuno può essere condannato per un’azione che, al momento in cui è stata commessa, non costituiva reato secondo il diritto interno o internazionale”. L’unico reato contestabile, se ritenuto colpevole, sarebbe stato quello di favoreggiamento personale. Nel luglio 2015 il governo italiano presenta ricorso alla Grande Chambre, che però a settembre è respinto dai giudici europei.
Dopo la pronuncia europea, Bruno Contrada presenta per la quarta volta richiesta di revisione del processo. La decisione, prevista per il 18 giugno 2015, slitta ad ottobre. L’inizio del processo di revisione è quindi fissato prima per il 15 ottobre 2015 e poi per il 18 novembre, con la corte chiamata a pronunciarsi per un nuovo respingimento o un nuovo processo con tre esiti possibili (assoluzione per non aver commesso il fatto, conferma della condanna per il reato di concorso esterno, proscioglimento per intervenuta prescrizione del reato di favoreggiamento).
La Corte d’Appello di Caltanissetta respinge la richiesta di revisione del processo il 18 novembre 2015, confermando la sentenza definitiva. La sentenza è stata confermata in Cassazione. Contrada e il suo legale presentano una nuova richiesta alla corte d’appello di Palermo nell’ottobre 2016, affinché venga recepita la pronuncia europea, tramite la revoca della condanna.
La difesa invia una lettera al Comitato dei ministri del consiglio d’Europa perché “vigilino sull’applicazione della sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo”. La Corte d’appello di Palermo respinge il 27 ottobre la richiesta di revoca, non riconoscendo le motivazioni giurisprudenziali della CEDU, dichiarando la revoca inammissibile perché la corte europea si baserebbe su “un’interpretazione comunitaria di fatto incompatibile con l’ordinamento italiano”.
Il 7 luglio 2017 la corte di Cassazione revoca, tramite annullamento senza rinvio, la condanna per concorso esterno in associazione mafiosa a Contrada, dichiarandola “ineseguibile e improduttiva di effetti penali” poiché il fatto non era previsto come reato (articolo 530 c.p.p. comma 1), in accoglimento della sentenza di Strasburgo.
Nel mese di aprile del 2020 la Corte d’Appello di Palermo liquidato a favore di Bruno Contrata la somma di 667.000 euro, a titolo di riparazione per l’ingiusta detenzione patita nel procedimento penale. Il 21 gennaio 2021 la IV Sezione Penale della Corte di Cassazione annulla con rinvio la suddetta ordinanza, disponendo che la Corte d’Appello di Palermo riesamini la propria decisione.
Nel mese di febbraio del 2023 si legge su TgCom24:
“La prima sezione della Corte dʼAppello di Palermo, ribaltando la decisione in precedenza assunta dalla Sezione seconda e pronunciandosi a seguito di annullamento con rinvio da parte della Corte di Cassazione, ha accolto la domanda di riparazione per ingiusta detenzione formulata da Bruno Contrada, limitando però lʼentità dellʼindennizzo a 285.342 euro”. Lo rende noto Stefano Giordano, il legale dellʼex numero due del Sisde.
“Il mio errore, se mai ce ne fosse stato uno, è stato quello di essere sempre in prima linea“, afferma Bruno Contrada in un’intervista rilasciata a Il Riformista nell’aprile del 2023.