Stando ad alcune recenti scoperte che riguardano il soffitto ligneo della Cappella Palatina di Palermo non risulterebbe della stessa età della chiesa bensì ad essa antecedente di quasi un secolo. Lo riporta il sito del Giornale di Sicilia. Scopriamo, di seguito, cosa sappiamo di questo mistero.
Paolo Valentini nella sua opera “Le divine terrazze”, messinscena anche in dialetto siciliano frutto di un racconto immaginario, ha attinto a proprie ricerche non ancora pubblicate perché ancora in attesa di conferme ufficiali dalle quali sarebbe emersa una circostanza alquanto misteriosa circa la data di costruzione del soffitto arabo della Cappella Palatina.
“Non è coevo alla chiesa ma la precede di circa ottant’anni. E basterebbe un esame al carbonio-14 per accertarlo, contro la tesi dominante secondo cui il soffitto saraceno fu una concessione di Ruggero II alla comunità islamica palermitana nonché un tributo allo spirito di integrazione razziale che egli in realtà propugnava” ha dichiarato Valentini all’Agi.
Se dunque la celebre Cappella di Palazzo dei Normanni nasce a cominciare dal 1130, il prezioso soffitto istoriato, fatto di legno di abete dei Nebrodi, ricco di una resina fortemente conservante, precederebbe di oltre vent’anni l’arrivo dei Rum (com’erano chiamati i Normanni invasori) e dunque appartiene al periodo della piena dominazione araba.
Gli studi non pongono dubbi circa la paternità della preziosissima opera per mano di maestranze islamiche, egizie e persiane, ma la considerano commissionata dal re cristiano di Sicilia, mentre sarebbe stata voluta dall’emiro kalbita Giafar per la sua sala delle udienze nella cittadella emirale Al Halisà di Al Medina, com’era anche chiamata Palermo, ovvero Balarmuh.
Il celebre soffitto ligneo consta di prismi rovesciati simili a stalattiti o celle d’alveare chiamati «muqarnas» che designano un preciso gusto architettonico di provenienza islamica. Re Ruggero lo accettò nella sua cappella trovandone il tenore appropriato a una sovranità personale estesa ad ogni popolo, al di là di lingua e religione, tanto più che considerò la Cappella di Palazzo reale anche la sua aula di adunanza, giacché esercitava il potere temporale insieme a quello spirituale perché munito della Legazia Apostolica accordata dal Papa e dunque nel diritto di installare nella parte opposta dell’altare il proprio trono.
Cesare Brandi, incaricato nel Dopoguerra del restauro, commentò che ” visto da sopra il soffitto ligneo sembra un teatrino di marionette” che unisce cristiani e mori e che oggi è infatti tornato alla luce grazie al racconto di Valentini appositamente sceneggiato. «Ho immaginato una cena in terrazza tra un giudice musulmano, un rabbino suo amico, un commerciante siciliano di rito greco e un ex monaco benedettino che, appresa la notizia dell’arrivo da Bisanzio di maestranze specializzate nell’arte musiva e incaricate da Ruggero II di decorare la navata della Cappella Palatina, rimemorano l’operazione segreta compiuta poco più di cinquant’anni prima, quando alla vigilia della presa di Palermo da parte dei Normanni l’emiro Giafar dà ordine di smontare il soffitto ligneo e di nasconderlo per sottrarlo alla furia dei rozzi “uomini del Nord”. Nel secondo atto si arriva a dieci anni dopo, all’indomani dell’inaugurazione della Cappella Palatina, nel 1140, e gli stessi amici a cena apprendono come la comunità islamica è riuscita a convincere il re a installare il loro soffitto, che era stato ben conservato al Capo, l’attuale quartiere allora chiamato “Seralcadio”, da “Sheera Al Cadi”, la strada del giudice.
Stando a questa interpretazione, dunque, le divine terrazze sarebbero quelle nelle quali rappresentanti di arabi, ebrei, siciliani e clericali si confidano in piazza, all’insaputa del Palazzo, come si sono fatti beffa e ragione dei nuovi padroni, che però la storia celebrerà come liberatori della Sicilia dal giogo saraceno. E a rappresentare questo scontro-incontro di civiltà sono stati chiamati i pupi siciliani, eredi delle più antiche “vastasate” dello sberleffo e dell’irriverenza.