La lingua siciliana è unica nel suo genere. Ci sono alcune caratteristiche che la differenziano dalle altre e oggi, per renderle omaggio, abbiamo deciso di vederle insieme.
Altri studiosi, fra cui l’organizzazione Ethnologue e l’UNESCO, descrivono il siciliano come «abbastanza distinto dall’italiano tipico tanto da poter essere considerato un idioma separato», il che apparirebbe dall’analisi dei sistemi fonologici, morfologici e sintattici, nonché per quanto riguarda il lessico.
Peraltro il siciliano non è una lingua che deriva dall’italiano, ma – al pari di questo – direttamente dal latino volgare, e costituì la prima lingua letteraria italiana, già nella prima metà del XIII secolo, nell’ambito della Scuola siciliana. Anche l’UNESCO riconosce al siciliano lo status di lingua madre, motivo per cui i siciliani sono descritti come bilingui, e lo classifica tra le lingue europee “vulnerabili”.
- Partiamo dai verbi. Nel siciliano il tempo futuro sembra mancare e ogni azione che ancora deve avvenire viene costruita al presente. Prima del verbo, si usa mettere un avverbio, come ad esempio nella frase: “Domani vado a trovare mia zia”.
- Gli avverbi, in siciliano, spesso si ripetono, così come gli aggettivi: in una frase come “L’ho visto ora ora”, ad esempio, si vuole rafforzare il fatto di aver visto qualcuno. In generale, la ripetizione di sostantivi e verbi è altrettanto diffusa e lo scopo è sempre rafforzativo.
- Continuiamo a parlare di verbi, passando agli ausiliari: in una frase come “Unni aviti statu?”, si usa l’ausiliare avere, al posto di essere.
- Quando si parla di superlativi, invece, è molto diffusa l’abitudine di aggiungere un avverbio prima – o anche dopo – l’aggettivo: “Chiste su’ cose ra bella vieru”, per parlare di un qualcosa di bellissimo, ad esempio. Si usano molto anche “assai” o “troppu”.
- In ultimo, un riferimento al passato prossimo, sostituito nella maggioranza dei casi dal passato remoto, o del condizionale, che viene sostituito dal congiuntivo (“Ci vulissi iri”).