La mostra “Caravaggio. La verità della luce“, porta per la prima volta in Sicilia (all’ex Monastero Santa Chiara di Catania) alcuni capolavori di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, che scandiscono il suo percorso artistico dalla formazione in Lombardia all’affermazione a Roma e Napoli, fino agli ultimi anni della sua tragica esistenza.
L’evento è patrocinata dal ministero della Cultura, dalla Presidenza Commissione Cultura della Camera dei Deputati, da ARS Assemblea Regionale Siciliana, dalla Regione Siciliana, dalla Città Metropolitana di Catania, prodotta e organizzata da Associazione MetaMorfosi in collaborazione con Demetra Promotion e curata da Pierluigi Carofano.
La mostra di Caravaggio a Catania sarà anche l’occasione per inaugurare lo spazio museale della Pinacoteca presso l’ex Monastero Santa Chiara, restituita alla Città dopo l’intervento di riqualificazione operato con fondi comunitari dall’Assessorato ai Lavori Pubblici e Politiche Comunitarie, retto da Sergio Parisi. Straordinario il suo recupero architettonico, luogo noto a tutti i catanesi, in quanto per decenni ha ospitato gli uffici dell’anagrafe comunale, archivio storico, della città etnea.
Dal 1° giugno fino al 6 ottobre 2024 la mostra presenta un percorso espositivo ricco di 36 dipinti, permettendo inoltre al visitatore di percorrere un viaggio completo nel fenomeno del “caravaggismo” con una ricca selezione di opere di Orazio Gentileschi, Guercino, Annibale e Ludovico Carracci, Simone Peterzano, Cavalier d’Arpino, Mattia Preti, Luca Giordano Giovanni Baglione, Fede Galizia e Orsola Maddalena Caccia e molti altri per i quali Caravaggio è stato il promotore di un grande cambiamento stilistico e culturale.
“L’esposizione – spiega il professor Pierluigi Carofano – si propone un duplice obiettivo: proporre al grande pubblico una selezione di opere di Caravaggio, dalla sua formazione milanese alla sua piena affermazione sino agli ultimi tempi della sua breve vita, arricchita dal confronto con artisti suoi contemporanei; e nuove riflessioni sullo stile e sul significato delle opere di Caravaggio (e dei caravaggeschi) rivolte nello specifico alla comunità scientifica attraverso lo strumento del catalogo».
In mostra tre dipinti autografi del Caravaggio: Il ragazzo morso da un ramarro, il San Sebastiano e Il Cavadenti. Il San Sebastiano, opera esposta in Italia per la prima volta da quando è stata dichiarata autografa di Caravaggio nel 1990, ha una storia complessa di acquisizioni e di trasferimenti che gli studiosi hanno a lungo ricostruito.
“In collezione privata dal 1945, ha una provenienza non ancora definita in tutti i passaggi – spiega Carofano. – Probabilmente portato in Francia da Napoli, ad opera di artisti vicini al Merisi quali Louis Finson e Martin Faber, passò a Bologna nel 1877 quando il Duca di Montpensier, re Filippo d’Orleans, vi acquistò il palazzo di Galleria. Fu acquistato dal nonno degli attuali proprietari negli anni del dopoguerra. Nel 1951 è presente come opera attribuita alla mostra milanese su Caravaggio. Nel 1960 l’opera viene trasferita a Roma e nel 1975 Maurizio Marini rintraccia questo dipinto che inserirà nel catalogo degli autografi del Merisi dopo il restauro di Giuseppe Cellini avvenuto nel 1989. Questo San Sebastiano, fu certamente realizzato durante il primo soggiorno napoletano di Caravaggio, per il diretto riferimento con la Flagellazione della chiesa di san Domenico, prima sua opera realizzata a Napoli, e anche per uno specifico richiamo ad un’altra Flagellazione, contemporanea, oggi custodita al Musèe des Beaux-Art di Rouen“.
Il ragazzo morso da un ramarro è un vero e proprio manifesto di un quadro allegorico, da leggere in filigrana con il tema delle pene d’amore. “Fa capire – aggiunge Carofano – quanto il giovane Caravaggio, appena sceso da Milano a Roma, fosse inserito nei circoli culturali del tempo”. Infine, il Cavadenti della Galleria Palatina di Palazzo Pitti è particolarmente significativo in quanto riconducibile alla fase estrema della produzione del Merisi, quindi in qualche modo legato anche alla Sicilia. “L’aspetto grottesco dei personaggi raffigurati, nonché il tema trattato in modo crudo fu capace di influenzare artisti come Matthias Stom, presente in mostra con una straordinaria quanto realistica Derisione di Cristo”.
La mostra indaga inoltre il rapporto tra Caravaggio e i cosiddetti “caravaggeschi”, straordinario fenomeno artistico che, come conferma la mostra, ebbe anche caratteristiche internazionali, ma complessivamente di breve durata. Morto Caravaggio nel 1610, infatti, durò ancora soltanto una ventina d’anni grazie ad artisti che ancora per qualche tempo dipinsero adottando registri diversi a seconda della committenza, come ben testimoniano in mostra le opere di Luca Giordano e Mattia Preti. Ma per ricordare la resistenza di questo fenomeno all’interno di una rivoluzione travolgente quale fu l’affermazione del barocco, la mostra si chiude proprio con due opere di Jusepe de Ribera, San Girolamo e la tromba del giudizio e Il Profeta che ne testimonia appunto la longevità.
A testimonianza di questo fenomeno in mostra opere fondamentali come L’Incredulità di san Tomaso e la Cattura di Cristo, entrambi provenienti dalla Galleria degli Uffizi, realizzate all’interno della cerchia di Caravaggio, sotto la supervisione del Maestro secondo una pratica in voga all’epoca. Tra gli autori suoi contemporanei che all’epoca godevano anche di maggiore successo e prestigio, spiccano in mostra la Presentazione al Tempio di Simone Peterzano (primo maestro di Caravaggio), Sansone e Dalila di Giovanni Baglione e la deliziosa Natura morta di pere di Fede Galizia. La sezione della mostra dedicata al confronto tra gli “amici e i nemici” di Caravaggio porterà quindi una preziosa testimonianza della distanza stilistica tra le varie “fazioni” in voga all’epoca nella Roma del primo Seicento.
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