A due passi dal mare della Cala di Palermo si trova una testimonianza preziosa, ma decisamente oscura della storia della Sicilia. Dal 1605 al 1782, infatti, proprio nel capoluogo trovò sede un carcere del Santo Ufficio, in cui erano rinchiusi quanti venivano accusati di essere contro l’ordodossia cattolica. Il Carcere dello Steri si trova all’interno di uno dei palazzi più famosi del centro storico della città e restituisce un racconto autentico di quella che era la condizione dei prigionieri. I graffiti e i dipinti si conservano ancora sui muri delle celle. Sono la testimonianza toccante di un’umanità annichilita. Un racconto fatto di poesie, invocazioni, carte geografiche e preghiere.
Per comprendere il peso del Carcere dello Steri, basta dare un’occhiata a un po’ di numeri. Secondo il teologo e giurista Pietro Tamburini, vissuto nel Settecento, nel solo anno 1546 i quindici tribunali attivi in Sicilia condannarono 120 persone al rogo, 60 in effigie e 600 a penitenze minori. Altri storici ritengono che dal 1487, anno di istituzione del Tribunale in Sicilia, al 1732 furono inviati al braccio secolare e bruciati o condannati ad altra pena di morte 201 persone. Il numero dei rilasciati, poiché morti o contumaci, è 279. La Sicilia fu la regione italiana nella quale più donne vennero condotte al rogo per ordine della Santa Inquisizione.
I graffiti e i dipinti ancora visibili oggi sono vere e proprie opere d’arte. Prima ancora, però, sono atti d’accusa verso un’ingiustizia. Molti di essi includono data e firma e consentono di risalire all’identità e alle storie dei condannati. Erano uomini e donne che, grattando il pavimento di cotto o procurandosi colori di fortuna, hanno scelto il muro per raccontare il proprio dolore. Il Palazzo Steri di piazza Marina fu anche sede del Tribunale del Santo Uffizio. Fu lo storico Giuseppe Pitrè che, nel 1906 riuscì a salvare i graffiti lasciati dai prigionieri in alcune celle segrete. “‘Sento freddo e caldo, mi ha preso la febbre terzana, mi tremano le budella, il cuore e l’anima mi diventano piccoli piccoli”, scrisse una donna accusata di stregoneria.
Tra le cose più importanti e inquietanti da vedere, ci sono i solchi lasciati dalle due gabbie appese alla parte alta della facciata. Lì furono esposte per secoli le teste dei baroni che si erano ribellati al re Carlo V all’inizio del suo Regno (1516-1554). Il Carcere dei Penitenziati fu predisposto da Filippo III con, le celle denominate filippine. Il Tribunale della Santa Inquisizione fu chiuso nel 1782 dal Viceré di Sicilia Domenico Caracciolo, marchese di Villamaina. Lui fece dare alle fiamme l’archivio segreto e gli strumenti di tortura.