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Il Castello di Calatubo, fortezza siciliana troppo spesso dimenticata

Quante volte, percorrendo l’autostrada A29, nei dintorni di Alcamo, avete visto in lontananza i ruderi di un castello? Quei ruderi appartengono al Castello di Calatubo (latino: castrum Calathatubi; arabo: قلعة ﺍوبي – Qal’at ‘Awbi o Kalata et tub, “terra di tufo”). Il sito presenta frequentazioni antichissime e include i resti di un insediamento elimo e una necropoli. Ai più questo castello è sconosciuto e, purtroppo, versa in condizioni problematiche.

Le origini del castello risalgono a prima del 1093, anno in cui il conte Ruggero definì i confini della diocesi di Mazara del Vallo, includendovi “Calatubo con tutte le sue dipendenze”.

Anticamente, attorno al castello sorgeva il villaggio di Calatubo, che fondava il proprio commercio sull’esportazione di cereali e di pietra da mulino (ad acqua e a vento, questi ultimi detti “mulini persiani”), estratta dalle cave attorno al torrente Finocchio, come menzionato dal geografo arabo al-Idrisi nel Libro di Re Ruggero, scritto nel 1154.

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A partire dal Medioevo, a causa della sua visibilità, il castello di Calatubo ebbe un importante ruolo strategico: infatti esso faceva parte di una linea di torri e forti situati lungo la costa che va da Palermo a Trapani; tale linea difensiva veniva utilizzata per trasmettere segnali luminosi in caso di attacco dei nemici saraceni. In particolare, il castello di Calatubo garantiva il flusso di informazioni che avvenivano tra gli avamposti di Carini, Partinico e Castellammare del Golfo.Nel 1338 fu assegnato a Raimondo Peralta, conte di Caltabellotta.

Il villaggio di Calatubo fu abbandonato in seguito alla conquista da parte di Federico II e il castello perse la sua funzione originaria di fortezza militare, trasformandosi in un baglio. Durante tale periodo, al castello si aggiunsero magazzini, stalle e altre strutture utilizzate per l’amministrazione agricola del feudo di Calatubo. Alla fine del XIX secolo in corrispondenza del secondo cortile furono poi allestiti magazzini per la produzione del vino “Calatubo”.

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Il castello rimase in buone condizioni fino al 1968, anno del terremoto del Belice. A peggiorare l’azione distruttrice del terremoto fu l’utilizzo della struttura come ovile e gli scavi di frodo, che avevano come obiettivo i reperti della necropoli del VII secolo a.C. attinente al castello. Inoltre nel luglio 2013 il castello è stato colpito da un incendio che oltre ad annerirne le pareti interne ed esterne ha verosimilmente arrecato ulteriori danni alla struttura.

Una credenza popolare racconta di lunghi cunicoli sotterranei che collegherebbero il castello di Calatubo con il Castello dei Conti di Modica e il Castello dei Ventimiglia e la sua torre, sul Monte Bonifato.

Il Castello di Calatubo struttura

è un complesso architettonico che si sviluppa prevalentemente in direzione est-ovest, costituito principalmente dalla struttura del castello originario, che ha subito diverse modifiche per adattarsi nel corso dei secoli alla sua destinazione d’uso.

Tale complesso ha le dimensioni di circa 150×35 m e sorge su una roccia di natura calcarea che si trova ad un’altezza di circa 152 m sopra il livello del mare, dominando con la sua altezza il territorio circostante. Da tale posizione sono visibili in particolare il Monte Bonifato e il Golfo di Castellammare.

Il castello è inaccessibile su tre lati a causa delle pareti scoscese della roccia sulla quale è costruito. L’unico accesso percorribile è situato a occidente, dove si raggiunge la prima linea difensiva del castello attraverso una rampa gradonata.

Dalla prima linea difensiva, che comprende tra l’altro un pozzo, una chiesa ad aula e altri locali, si arriva ad un cortile che comunica con la seconda cerchia muraria attraverso un portale, fino ad arrivare alla terza cerchia muraria, che comprende una torre oblunga, arrivando infine al nucleo principale del castello, che è una struttura a pianta rettangolare delle dimensioni di 7×21,50 m, posizionata sulla parte meridionale della rocca.

Foto di Daniele PugliesiOpera propria, CC BY-SA 3.0, Collegamento

Redazione