Testimonianze archeologiche ci riportano sino al VII millennio a.C. Splendidi esempi di ceramiche realizzate nel territorio di Caltagirone ci sono state restituite dagli scavi nei villaggi neolitici Scala, Pille e S. Ippolito, civiltà quest’ultima, fortemente influenzata da quella anatolica e cipriota produttrice di ceramiche con forme a fiasco o a fruttiera con decorazioni geometriche dipinte in bruno su fondo giallo e rossiccio.
Su questa autonoma tradizione si innestò l’influenza determinata dai contatti commerciali che i Siculi ebbero con il mondo greco e che si manifestarono nella complessiva organizzazione sociale e nell’attività artigianale.
Furono i cretesi, ad esempio, che intorno all’anno 1000 a.C. introdussero in Sicilia l’uso del tornio, che rivoluzionò l’attività degli artigiani siculi. L’esempio più significativo di tale produzione locale di influenza greca è il cratere a figure rosse conservato presso il Museo della Ceramica di Caltagirone, che raffigura la scena di un vasaio che lavora, assistito dalla dea Athena, alla tornitura di un pithos, ulteriore testimonianza di come a Caltagirone tale attività in quel periodo fosse diffusa e considerata prestigiosa.
Anche sotto la dominazione romana e bizantina le fornaci caltagironesi continuarono a produrre manufatti che, per la loro qualità, rendevano evidente la crisi economico-sociale che attraversò la Sicilia, e Caltagirone in quel periodo. Furono gli Arabi, che conquistarono la Sicilia nell’827, ad innestarsi nella produzione locale trasferendovi tecniche, forme e decori che determinarono un rilancio dell’artigianato ceramico e il ritorno agli antichi splendori.
Essi insegnarono l’invetriatura del vasellame agli artigiani calatini, che quindi la utilizzarono prima che essa si diffondesse nel resto dell’Italia.
Le forme dei vasi si richiamano alla tradizione egizia e persiana e sono decorati su un ingobbio che va dal giallo paglierino al verdognolo con motivi geometrici o vegetali, graffiti o dipinti in verde o manganese. I bacini hanno larghe tese decorate con trecce, archetti incrociati, motivi lineari, puntati interamente di verde ramina, giallo-arancio e, talvolta, blu slavato. I loro fondi sono decorati con rappresentazioni del mondo animale e vegetale, colombe, pesci, boccioli, rosoni, foglie ed il caratteristico motivo a cuori concatenati, stilizzazione della palma, riscontrabile nel soffitto ligneo della Cappella Palatina, il più alto esempio di arte siculo-musulmana-normanna.
Tale produzione prosegue nel periodo trecentesco con bacini a tese meno larghe e decorate solo con il manganese mentre i fondi riportano prevalentemente gli stemmi degli ordini religiosi o delle famiglie aristocratiche spagnole venute in sicilia con gli Aragonesi. I maiolicari caltagironesi videro, inoltre, ampliare la loro capacità di penetrazione nei mercati per il privilegio concesso nel 1432 da Alfonso d'Aragona agli artigiani di Caltagirone di poter vendere le loro maioliche in tutte le città demaniali del Regno con la esenzione del pagamento dei dazi doganali.
L'artigianato di Caltagirone, che godeva già della possibilità di trarre da vaste cave d'argilla la materia prima del lavoro e dal vicino bosco di S.Pietro tanta legna quanta ne occorreva per ardere le fornaci, potè così affermarsi come il più importante e qualificato produttore isolano di maioliche.
Esse, per tutto il periodo del XVI e XV secolo sono riccamente decorate in manganese, in alcuni casi con tocchi e campiture in verde ramina. La decorazione amplia la campitura a tutta o parte della superficie decorata. Lo smalto acquista maggiore corposità e vetrosità e ricopre, a differenza di quanto accadeva nella ceramica tardo-sveva, anche le superfici esterne del vasellame il cui supporto in terracotta è, però, più spesso e tornito con minore cura.
I decori sembrano richiamarsi alla fastosa arte del tessuto e del ricamo siciliano, ma anche alla tradizione musulmana e catalana. Il manganese, che aveva caratterizzato il XIV secolo, lascia il posto ad una decorazione di transizione con sbiaditi tocchi di verde ramina, orli in blu e giallo-arancio, riquadrature geometriche in manganese slavato e in blu, con qualche decoro di uccelli o paesaggi. Ad essa si sostituirà, fino a quando non prevarrà l’influenza rinascimentale, la decorazione di imitazione catalana in blu, con motivi spesso floreali dal pennello libero senza contorno.
Una delle tipologie che affermò Caltagirone quale centro più importante della produzione ceramica in Sicilia fu, accanto a quella dei rivestimenti architettonici per i prospetti delle chiese e le cuspidi dei campanili, quella della pavimentazione la cui evoluzione stilistica segue di pari passo quella del vasellame e in più, in alcuni casi, si avvale della progettualità degli architetti chiamati a costruire gli aristocratici palazzi e le monumentali chiese della città.
Tra questi certamente i Gagini che operano a Caltagirone a cavallo tra il XVI e XVII secolo e Natale Bonajuto, che nel XVIII secolo per primo cominciò a utilizzare la maiolica quale elemento di decoro nei prospetti di pubblici edifici. Nella prima fase di uso della maiolica nelle pavimentazioni sono due tipologie più diffuse.
Una utilizza l’associazione di cotto e maiolica, quest’ultima con mattonelle quadrate decorate a motivi geometrici, posta a perimetrale un tappeto di mattonelle di cotto esagonali o con piccoli tozzetti quadrati posti a colmare gli spazi vacanti tra mattonelle ottagonali in terracotta.
In quest’ultimo caso i piccoli inserti maiolicati sono dipinti in blu, con tocchi di verde e giallo, e riproducono motivi floreali o stilizzazioni di figure umane o animali.
La seconda tipologia è tutta con mattonelle di forma romboidale smaltate in bianco, turchino e manganese, variamente disposte tra loro a comporre motivi geometrici, stelle, spighe, scacchiere.
Questa stabilità dei decori si riscontra anche nel vasellame prodotto fra il XVI e il XVII secolo che si richiama in modo evidente alla tradizione stilistica di Montelupo, sia pure interpretata dal gusto locale e dalle influenze che nella produzione calatina avevano già avuto gli stilisti catalani e musulmani.
Tale influenza è segnata dall’uso della palmetta persiana decorata nella monocromia turchina che dovette arrivare a Caltagirone per quelli che oggi chiameremmo scambi culturali.
E’ molto probabile infatti che artigiani di Caltagirone abbiano per qualche tempo lavorato a Montelupo e abbiano poi portato con sé, una volta tornati in patria, il decoro usato in quella città. L’uso della palmetta persiana si evolverà intorno alla prima metà del ‘600 nel disegno, tutto giocato nelle diverse tonalità del blu e del turchese, di una ornamentazione floreale ricca e regolare.
Essa continuerà a caratterizzare la produzione dei maiolicari calatini fino al 1693 quando, l’11 gennaio, un terribile terremoto sbriciola le città della Sicilia orientale e tra esse Caltagirone, distruggendo, insieme agli edifici monumentali che disegnavano l’aristocratico aspetto urbanistico della città, le botteghe degli artigiani che ne avevano costituito il tessuto produttivo e che si trovarono d’improvviso costretti a confrontarsi, con povertà di mezzi e di braccia, con le esigenze della ricostruzione e del rivettovagliamento delle famiglie che nel terremoto avevano perduto la loro dotazione di utensili.
La produzione si fa alacre, anche se, ma solo in una prima fase, perde il tono artistico e la qualità degli smalti che avevano caratterizzato le precedenti produzioni. Vasi a smalto di un leggero azzurro decorati con fogliame sparso o a cespugli e poi via via con un fondo sempre più chiaro sono l’ultimo aggancio alla produzione del secolo precedente.
Alla monocromia, tutta basata sui toni dell’azzurro, si sostituisce una ricca policromia, su un fondo cobalto intenso, a grande fogliame dove il giallo oro, il verde ed il manganese, sapientemente dosati in decori di gusto rinascimentale, disegnano vistosi mazzi di fiori bianchi e foglie d’acanto policrome che coprono quasi l’intera superficie.
Allo stesso modo i pavimenti, che prima completavano modularmene, ora sono realizzati con un unico grande disegno che copre l’intera superficie da pavimentare e che ha la stessa ricchezza della tavolozza dei vasi. Accanto a questa produzione, che si rifà a quella veneziana del secolo precedente, una nuova decorazione si riscontra in quella destinata alla farmacie che costituiscono uno dei destinatari usuali del vasellame maiolicato.
Si tratta di albarelli, versatoi, bottiglie decorate su fondo bianco a fasce con merletti in blu o a riquadri polilobi marmorizzati in manganese inseriti tra fogliame turchino. Ma ciò che segna i caratteri distintivi della maiolica settecentesca di Caltagirone è la decorazione plastica applicata a gran parte della produzione di questo periodo che, sposata alla ricca policromia, segna l’età aurea della ceramica calatina. Sono oggetti ricchi di fantasia, estrosi ed eleganti, funzionali all’uso domestico, all’arredo urbano e agli edifici civili ed ecclesiastici ove arricchiscono giardini e mense.
Candelieri, vasi antropomorfi, lucerne, calamai, altari, balconate, rivestimenti per prospetti, acquasantiere, edicole sacre, bottiglie, versatoi, formelle per dolci, cucche, sono solo alcuni degli esempi di come si sia sbizzarrita la capacità creativa degli artigiani di Caltagirone. Il ‘700 segna il periodo di maggiore sviluppo e diffusione della ceramica di Caltagirone fino quasi ad identificarsi con essa. A tale fulgore fa da contrasto il veloce decadere del successivo secolo.
L’assenza di evoluzione tecnologica, di cui invece si erano dotate le fabbriche continentali che potevano così produrre a costi più competitivi, taglia fuori dal mercato la maiolica di Caltagirone che vede marginalizzata anche la produzione di pavimenti, ormai dovunque sostituiti con quelli in cemento. Gli oltre cento artigiani che operavano nei secoli precedenti costituendo la più numerosa, prestigiosa e ricca corporazione della città si riducono alla fine dell’800 a soli sette “cretai”. A fronte della decadenza che segnò la produzione di maioliche si afferma a Caltagirone, e si diffonde in tutta Europa, l’attività dei figurinai. Loro capostipite è Giacomo Bongiovanni, erede della famiglia Bertolone che per secoli aveva dato alla città valenti artigiani, che rivoluziona la tecnica di realizzazione delle figurine che già nel passato venivano realizzate nelle botteghe soprattutto quali soggetti presepiali. Egli , anziché plasmarle per intero, riveste le sue figure con sottili foglie della stessa argilla, ottenendo così un risultato di particolare verismo nella rappresentazione di scene di vita popolare.
Tutti i prossimi autori seppero rappresentare efficacemente il mondo popolare e contadino in soggetti, spesso dipinti a freddo o lasciati nel colore terracotta, che ancora oggi per la vasta produzione di figurine rappresentano una fonte inesauribile cui i più bravi fra gli artigiani sanno attingere con piena adesione alla tradizione bongiovannesca o con personale capacità di interpretazione. Le ragioni della crisi ottocentesca della maiolica di Caltagirone, che ne avevano determinato la marginalizzazione e l’impoverimento, ne hanno poi posto le premesse per una costante riaffermazione come prodotto di qualità.
Mentre, infatti, le altre fabbriche isolane e continentali sostituivano alla sapienza manuale la capacità tecnologica affidando le loro fortune alla produzione seriale, Caltagirone conservava il proprio patrimonio di esperienza artigianale e la memoria storica della propria secolare tradizione attraverso l’istituzione della Scuola e del Museo della Ceramica, che hanno dapprima difeso e poi rilanciato la ceramica calatina tutt’ora genuinamente ed esclusivamente legata alla capacità manuale ed allo spirito creativo degli artigiani, tornati ad essere il più numeroso e qualificato settore produttivo di Caltagirone che, così, ancora oggi, a buon diritto può definirsi “Città della Ceramica”.
Fonte: http://www.ceramicart.it/storia-ceramica-caltagirone.cfm