La storia della Pasta al Forno Siciliana.
- Si tratta di una delle ricette più buone e apprezzate della cucina tradizionale della Sicilia.
- Ne esistono davvero molte varianti, a seconda della provincia di riferimento.
- Qualunque sia la ricetta, due cose sono certe: sulla superficie deve essere una invitante crosticina dorata e il ripieno deve essere ricco.
Chi ha inventato la pasta al forno? Si tratta di una delle ricette più buone e apprezzate della Sicilia e, in generale, di tutta l’Italia. Nella nostra regione, quello per la pasta al forno è quasi un culto: ci sono moltissime varianti, tutte buonissime. Nota identificativa di tutte le versioni è la crosticina dorata sulla superficie. Il ripieno, poi, deve essere abbondante e ricco. Il profumo della pasta in cottura nel forno richiama subito alla memoria i giorni di festa, è una pietanza in grado di rendere speciale ogni occasione.
Non è facile stabilire una precisa collocazione temporale. Le origini, probabilmente, coincidono con la diffusione dell’agricoltura e la produzione della pasta. In epoca etrusco-romana si consumava un formato chiamato “lagana”, che si cuoceva in forno con un condimento. Per quanto riguarda il Sud, la diffusione della pasta al forno dovrebbe coincidere con la dominazione araba del IX secolo. Dagli arabi si sarebbe ereditata la tradizione dei timballi (pasta ‘ncasciata o ‘mpurnata). Da lì si è arrivati ai classici anelletti al forno alla palermitana. Le diverse versioni di pasta al forno abbondano negli ingredienti, come carne, formaggi, verdure, salumi e anche uova.
Una tradizione siciliana
La pasta al forno è amatissima in Sicilia. Se ne parla, ad esempio, anche nel capolavoro di Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo. Qui si cita un timballo di maccheroni, servito in occasione di un ricevimento organizzato dal Principe di Salina. L’entrata della portata è trionfale: “L’oro brunito dell’involucro, la fragranza di zucchero e di cannella che ne emanava, non era che il preludio della sensazione di delizia che si sprigionava dall’interno, quando il coltello squarciava la crosta: ne erompeva dapprima un fumo carico di aromi e si scorgevano poi i fegatini di pollo, le ovette dure, le sfilettature di prosciutto, di pollo e di tartufi nella massa untuosa, caldissima dei maccheroni corti, cui l’estratto di carne conferiva un prezioso color camoscio.”