Facciamo tappa a Scicli, per fermarci a Chiafura, antico quartiere scavato nella roccia, diventato oggi un parco archeologico. Anticamente quest’area era una necropoli e fu progressivamente trasformata in abitato trogloditico nel periodo della conquista Araba.
Fino alla metà del 900 venne occupata senza soluzione di continuità.
L’origine del nome, menzionato per la prima volta nel 1684, è oscuro e sembra appartenere a una denominazione topografica. Deriverebbe dalla corruzione di una frase, della quale l’unico elemento chiaro potrebbe essere il “fora” finale, come ad indicare probabilmente “un quartiere fuori dalla città”.
Sul sito del Comune di Scicli, Chiafura viene descritto come “uno dei quartieri più antichi della città, con le sue centinaia di bocche nere. Quartiere abitatissimo fino agli anni Cinquanta, oggi è deserto a seguito della legge Romita sull’edilizia impropria del 1954 che decretò il definitivo abbandono del quartiere e il successivo trasferimento nel nuovo quartiere di Jungi”.
Le origini di Chiafura sono remote. Si pensa che abitazioni sparse risalgano addirittura al periodo neolitico anche se è stato scoperto che la maggior parte di esse appartenga all’età bizantina. In seguito all’insicurezza causata dal crollo dell’impero romano, le popolazioni cominciarono a salire verso la rocca fortificata, già sorta sul colle di San Matteo.
L’abitato rupestre di Chiafura, occupando un intero fianco del colle di San Matteo, si estende dalla cresta della collina, coronata dalle fortezze del Castellaccio (torre normanna) e del Castello dei Tre Cantoni, fortificazione di probabile fondazione bizantina, fino alla sottostante valle di San Bartolomeo, un’interessante gola calcarea.
L’organizzazione interna delle grotte è rudimentale. Si trova spesso un forno, nicchia per riporvi suppellettili e, talvolta, una mangiatoia, spesso ricavata da un originario sepolcro. In alcune grotte ci sono delle cisterne probabilmente di origine altomedievale, mentre in situazioni abitative più “ricche” si trova un collegamento interno tra due grotte.
La situazione strutturata in epoca medievale e moderna si è in seguito ampliata con la costruzione di ambienti in muratura immediatamente all’esterno dell’imbocco dell’antro. Altre volte, invece, si notano interventi di Età antica che intervenivano a qualificare l’ambiente ipogeico con la giustapposizione di locali coperti da volte a botte.
La cosiddetta città trogloditica corrisponde ad un abitato di dimensioni considerevoli, su pareti terrazzate e speroni formati dalla confluenza di almeno due cave, spesso culminante con la costruzione di una cittadella in muratura.
Particolarmente interessante è la disposizione delle grotte, spesso ad anfiteatro in luoghi soleggiati o protetti e frequentemente accoglienti interi quartieri rupestri (Chiafura a Scicli, Catena a Modica). La difesa delle città troglodite è assicurata dall’occupazione dello sperone di confluenza tra due cave, ponendosi quasi come una sorta di naturale torre di vedetta per la città retrostante.
Il cosiddetto Ddieri è tipico della Sicilia sud-orientale e corrisponde ad un insediamento scavato in una parete dirupa, con filari sovrapposti di grotte dove la viabilità orizzontale veniva assicurata da ballatoi, gallerie e cunicoli al buio, mentre quella verticale da pozzi tra le grotte stesse.
Gli insediamenti con le grotte allineate su un unico filare mancanti di elementi difensivi, hanno un carattere essenzialmente aperto e sembrano essere all’origine dei tipici casali altomedioevali e normanno-svevi.
Foto di GuglieApri – Opera propria, CC BY-SA 3.0, Collegamento