“La Cina è vicina”, ma non così tanto. Gabriele Morello, ex Presidente di AISM ci dice nel suo volume come ci vedono i cinesi: per loro siamo come un museo.
Un Paese che si muove a ritmi vertiginosi; un Paese che in pochi anni ha acquisito lo status di potenza mondiale. Un Paese che a pochi anni potrebbe far fare il ribaltone agli Stati Uniti, un Paese a cui l’Europa guarda con speranza, un Paese che molti temono. La sua è una crescita che entra nell’ordine del 10% tanto che è di solo pochi giorni fa la notizia che la Banca Mondiale l’abbia invitata a smetterla. Come fosse il corpo di un bambino che proprio non vuole capire che non è più ora di allungarsi, che i vestiti non gli vanno più e il letto andrebbe ricomprato.
Destabilizza, la Cina. Per i prodotti a buon mercato ormai presenti ovunque anche qui da noi. Per i molteplici ristoranti e le attività commerciali, che ormai anche qui spuntano come funghi. Ma la Cina è un Paese solido, e anche se i maggiori economisti del mondo stanno prospettando per esso un atterraggio sul duro, si prevede che il cuscino sarà ancora per un po’ morbido. Sta rallentando, la Cina, come tutti gli altri Paesi colpita da una crisi che però non è la nostra crisi. Ma ha abbastanza capitale estero tra le sue casse per non subire perdita di liquidità.
5.000 anni di storia e un mercato che fa paura. È un Paese diverso la Cina, diverso anche da stesso. La Rivoluzione Industriale che sta attraversando, ha inevitabilmente cambiato anche il suo volto; le case semplici hanno lasciato il posto ai grattaceli, le campagne alle ciminiere, le auto con i loro fumi di scarico, hanno preso il posto delle biciclette, e i contadini hanno lasciato lo spazio ai cittadini. Quasi un miliardo e mezzo di persone eppure ancora molte le famiglie a sostentarsi con la sola coltivazione del riso, che in molti villaggi viene ancora realizzata secondo i metodi tradizionali.
Ma cosa sa la Cina dell’Italia? Molto poco o nulla. Un Paese che dona credibilità è la Germania, un Paese conosciuto è l’Inghilterra. Sì con noi fanno affari: tessili di pregio, ma soprattutto macchine utensili; ma di noi non pensano il bene, e non ci hanno mai visitato. Conoscono la nostra capitale, sanno che ha dimora il Papa, ma per loro, siamo solo un museo. Noi siamo il luogo della moda, noi siamo il luogo dello sport, le uniche discipline in cui siamo conosciuti come modello positivo in larga parte del mondo. Diverse sono le aziende che hanno aperto filiali in Cina, soprattutto a Pechino; molti gli uomini di successo che vi si sono trasferiti per inseguire un sogno: come Vittorio Gregotti, architetto, insegnante a Palermo, sta progettando parte dell’espansione urbanistica di Shanghai.
Secondo Gabriele Morello, un quarto di secolo presso la facoltà di Economia dell’Università di Palermo per più di 25 anni, una brillante carriera nel marketing, nell’economia, sia come docente che consulente di molte aziende, sia pubbliche che private, sia italiane che internazionali, i cinesi non ci conoscono; guardano al futuro, al loro futuro. Il loro regime repressivo li porta a chiudersi; la loro crescita li porta a guardare altrove, ma vorrebbero venire a trovarci, vorrebbero confrontarsi con il resto del mondo.
D’altronde essendo una delle Nazioni più estese al mondo, potrebbe essere un bacino d’utenza particolarmente importante per il turismo. Bisogna solo aspettare: la nuova, ricca classe dirigente vuole spostarsi, vuole muoversi, e anche nonostante le restrizioni provocate dal Governo con la creazione dell’ADS (Approved Destination System), ovvero una lista che contiene tutti gli Stati che il potere politico cinese ha dichiarato come visitabili dai propri cittadini, sono oltre 100 milioni i turisti cinesi prodotti in totale fino a qui; d’altronde la Cina ha aperto i battenti solo nel 1990.
Autore | Enrica Bartalotta