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La commemorazione dei defunti in Sicilia: insieme di tradizioni risalenti ai primi riti pagani

Sta per avvicinarsi l’inizio di un nuovo mese, e con esso la Festa dei Morti, una delle celebrazioni più sentite in Sicilia.

Chiamasi ‘íornu di li morti’, la giornata del 2 novembre, che tradizionalmente si fa risalire, in tutta Italia, alle commemorazione dei defunti. Il primo a parlarne fu Giuseppe Pitré, nel suo “Biblioteca delle tradizioni popolari Siciliane”. Secondo la tradizione, nella notte tra il 1 e il 2 novembre, i morti in Sicilia si risvegliano per andare a rubare giocattoli, vestiti, cibarie ai personaggi più ricchi della città, allo scopo di donare la refurtiva ai loro cari che in quell’anno si sono dimostrati buoni, in particolar modo ai bambini. La mattina seguente era usanza dunque, ritrovarsi tutti presso i numerosi mercati e fiere di vario genere, che nacquero spontanee in tutta la Sicilia. A Palermo si usava presentarsi alla Vuccirìa, lo storico mercato che serviva all’acquisto delle ‘cosi di morti’, ovvero i doni o le strenne che per tradizione venivano donate dai morti, e che più semplicemente, il 2 di novembre, vengono svelati ai bambini come ‘doni dei vivi’. Da qui derivò l’espressione locale «Sapiri la Vucciria», frase che appunto svelava la verità sulle ‘cose di morti’.

Oltre a giocattoli di ogni sorta, era usanza regalare scarpe nuove arricchite con dolcetti della tradizione, ancora oggi in uso: come i crozzi 'i mottu (‘le ossa di morto’) o ‘i pupatelli’, biscotti ripieni di mandorle tostate, i nucatoli e i taralli rivestiti di glassa di zucchero; oggi, sulle tavole dei siciliani non mancano anche la frutta secca ed esemplari di frutta martorana, ovvero dolcetti di pasta di mandorle, decorati e scolpiti in forma di frutta, che a Palermo vengono allestiti su enormi cesti assieme alle primizie della stagione.
Tipici dolci della tradizione sono anche i cosiddetti ‘Pupi ri zuccaru’, delle vere e proprie statuine a base di zucchero, elaborate in diverse forme, o ritraenti figure tradizionali come quelle dei Paladini, dipinte con coloranti alimentari. A Palermo, questi dolcetti prendono il nome di ‘pupi a cena’ perché venivano offerti da un nobile arabo caduto in disgrazia, ai suoi ospiti; lo zucchero, un alimento economico ma particolarmente nutriente, forniva così un ottimo rimedio alla mancanza di una vera e propria cena.

In Sicilia infatti, si pensa che i morti escano dai loro loculi per entrare in città, proprio nella notte tra il 1 e il 2 di novembre; i luoghi preferiti dalle anime erano per lo più i cimiteri entro i conventi dei Cappuccini. A Cianciana, in provincia di Agrigento, i morti risorgono in prossimità dal Convento di Sant’Antonino dei Riformati, tramite il quale entrano nella città attraversando la piazza, per giungere fino al Calvario. Secondo l’usanza diffusa a Casteltermini, in provincia di Agrigento, il viaggio non è annuale, ma viene compiuto dai morti ogni sette anni, attorno alle mura della città. Il 2 di novembre, i palermitani andavano dunque a visitare le Catacombe dei Cappuccini, poste nei pressi di Porta Nuova, dove per antica usanza le salme venivano disposte in panni neri, e poi esposte alle pareti per mostrarle agli occhi dei congiunti. Ad Acireale, i morti girano avvolti nel lenzuolo funebre e calzari di seta; in provincia di Palermo, a Partinico, i morti girano a piedi scalzi, avvolti in un lenzuolo, con ceri votivi nelle mani, mentre a Milazzo si dice che tengano stretta tra le dita una piccola croce, che usano per cavare gli occhi dei bambini curiosi. A Catania invece i morti risorgono recitando il rosario.

Nella città di Vicari, in provincia di Palermo, i morti vanno in processione, ma non portano nessun regalo, compito invece che è stato affidato dalla tradizione, alla Vecchia di Natale. Presso il comune di Salaparuta, in provincia di Trapani, i morti non sempre entrano nelle case, ma lasciano doni presso le porte e le finestre, perlopiù dentro le scarpe o nei cosiddetti ‘cannistri’. A proposito di scarpe: nella zona dell’Etna era uso, la sera del 1 novembre, 'apparanu li scarpi’, ovvero mettere le proprie scarpe in mostra affinché i morti potessero riporvi all’interno i propri doni; la mattina dopo, le vecchie scarpe sparivano, sostituite da quelle nuove o da modellini in zucchero, mentre i bambini cattivi le ritrovavano invece riempite con la cenere.

Durante le celebrazioni dei morti, è ancora uso, in Sicilia, mangiare le fave, o piatti a base di fave, come il famoso macco, crema di fave e altri legumi, nata presso il comune di Raffadali, in provincia di Agrigento, e ancora oggi particolarmente amata e diffusa in tutta la regione, dove non viene preparata ormai più solo per le celebrazioni del 2 novembre; a Vicari ad esempio, si era soliti donare un mucchietto di fave ai più poveri del paese. E poi ancora, il primo lunedì di ogni mese le famiglie agiate erano solite preparare gli ‘armuzzi’, pagnotte lavorate a rappresentanza delle anime del Purgatorio. In alcune parti della Sicilia, si prepara ‘la muffoletta’, una pagnotta di pane ‘cunzata’ con olio, sale, pepe e origano, filetti di acciuga sott'olio e qualche fettina di formaggio primosale. Presso Palazzo Adriano, le fave venivano offerte ai poveri in cocci di terracotta, mentre ad Acireale, il popolo era solito mangiare ‘li favi 'n quasuni’, fave senz'occhio bollite, usanza questa diffusa anche a Palermo, nel XVIII secolo. Secondo gli Antichi, le fave contenevano le anime dei loro cari defunti, e costituivano al tempo stesso un dono commemorativo ad essi; stesso discorso si intende oggi per i dolcetti che vengono posti nelle scarpe e nelle case, la notte tra l’1 e il 2.
Nell’Antichità si soleva infatti offrire a commemorazione di una perdita, dei banchetti che venivano allestiti direttamente nei cimiteri, in prossimità delle tombe dei propri cari; un’usanza che venne proibita da Sant’Ambrogio, ma che in Sicilia è ancora in voga, anche se in forma privata.

Autore | Enrica Bartalotta

Foto di Carlo Greco


 

Staff Siciliafan