È diventata, suo malgrado, la "commessa licenziata per un panino". "Ho aspettato cinque anni questa sentenza e oggi non vedo l’ora di tornare al mio posto di lavoro", dice adesso un'abruzzese di 57 anni. Dopo due sentenze e il successivo riesame dei giudici della corte d’appello de L'Aquila, la Cassazione ha stabilito che la donna non doveva essere licenziata, dunque dovrà essere reintegrata.
La donna prelevò un panino, una confezione di salmone e una bibita senza nascondersi, consumandoli davanti a tutti e gettando le confezioni nel cestino del bancone dove lavorava e dove tutti potevano vederle e trovarle. Avrebbe pagato a fine turno. Secondo la Cassazione "la sentenza impugnata insiste moltissimo sulla circostanza per cui la lavoratrice aveva gettato in un cestino le confezioni dei beni, ma visto che la vicenda nel suo complesso è avvenuta alla luce del sole questo gesto di per sé non dimostra che si tratti di un comportamento particolarmente grave sotto il profilo della intenzionalità e dolosità della condotta".
I giudici a luglio avevano annullato il pronunciamento dell’Appello e rinviato gli atti alla corte aquilana in diversa composizione rispetto a quella che aveva cancellato la sentenza di reintegro del primo grado. I legali hanno sempre sostenuto che "non c’è stata nessuna appropriazione nel luogo di lavoro di beni aziendali in mancanza di ulteriori elementi deve darsi necessario rilievo al modestissimo valore della merce consumata, ma soprattutto alla storia lavorativa della dipendente che pacificamente nel corso di 14 anni non è stata mai oggetto di alcun richiamo disciplinare".
Elemento fondamentale, almeno dal punto di vista giuridico, perché i magistrati di secondo grado nella prima sentenza erano partiti proprio da questo per stabilire come il fatto avesse interrotto il rapporto fiduciario delle parti e, di conseguenza, la legittimità del licenziamento.