Le aziende si affidano ai robot per tagliare i costi del lavoro. È uno scenario quasi distopico, ma purtroppo attuale. Soprattutto guardando alla pioniera Cina, come racconta nel dettaglio la stampa locale. La taiwandese Foxconn, ad esempio, nel suo impianto di Kunshan ha introdotto i robot in catena di montaggio riducendo la forza lavoro da 110 mila a 50 mila addetti.
Altre 600 fabbriche del distretto cinese di Kunshan hanno piani di ristrutturazione simili. Midea, grande gruppo cinese di elettrodomestici, ha appena offerto 4,5 miliardi di euro per rilevare la tedesca Kuka AG che è uno dei principali produttori di robot industriali. Altri robot i cinesi se li costruiscono in proprio, come quelli progettati da Cui Runguan per tagliare, mettere in pentola e cuocere i noodles: ne ha già venduti 3 mila a ristoranti locali che hanno eliminato i cuochi umani.
La Cina rappresentava solo il 3% della manifattura mondiale all’inizio degli anni '90. Oggi produce circa il 25% dei beni che circolano nell’economia globalizzata: l’80% dei condizionatori d’aria, il 71% de telefonini, il 63% delle scarpe. Per i consumatori il fattore cinese ha significato prodotti low-cost. Ma dal 2001 i salari cinesi sono cresciuti a una media del 12% l’anno, avvicinandosi a quelli americani e nel 2015 l’export cinese è sceso, per la prima volta dal 2009, al culmine della crisi finanziaria mondiale.
Trend difficilmente arrestabili a parte, nel frattempo il signor Cui Runguan, a sua volta proprietario di ristorante a Pechino, dice che la sua invenzione "Chef Cui" "taglia gli spaghetti meglio di un umano" e soprattutto "un robot costa solo 2 mila dollari, mentre un cuoco in carne e ossa può costare fino a 4.700 dollari all’anno". Ecco dove sta andando il futuro.