Il termine ‘mattanza’ (strage, massacro) deriva per estensione da una particolare tecnica tradizionale di pesca del tonno rosso, particolarmente in voga presso i pescherecci di Sardegna e in Sicilia, in particolare presso la provincia di Trapani.
Una tecnica cruenta, che aveva lo scopo di uccidere, prima ad arpionate poi a mazzate, gli esemplari di tonno rosso che si erano infilati nelle maglie delle reti, la cosiddetta ‘camera della morte’. La pesca iniziava ad aprile, quando venivano deposte le reti, lunghe anche 4-5 km, e terminava in maggio quando i tonnaroti con le loro barche, accerchiavano i tonni presso la camera della morte per iniziare la mattanza.
La pesca del tonno ha origini antichissime; si può dire che sia nata con lo sviluppo della civiltà.
Gli uomini primitivi disposti sulle coste, iniziarono a sostentarsi con il pescato, non appena appresero a realizzare i giusti utensili per la caccia, soprattutto delle specie che andavano radunandosi in branchi presso la costa, come il tonno rosso.
Con il tempo la pesca del tonno si specializza, grazie a conoscenze più approfondite del mare e dei suoi abitanti; viene intercettato il ‘viaggio d’amore’ del tonno, che entrava in branchi nel mar Mediterraneo, dallo Stretto di Gibilterra, per deporre le uova proprio in aprile/maggio. Grazie alle sue migrazioni frequenti e alle sue carni sapide, il tonno rosso divenne ben presto fonte di sostentamento di molti pescatori e dunque, fonte economica di molti comuni e provincie, dato che veniva spesso anche esportato all’estero, soprattutto in Giappone, di cui si mangiano, crude, anche le gonadi. Oltre alla Sicilia, la pesca dei tonno è stata praticata molto anche in Liguria, Toscana, Sardegna e nella Linguadoca, in Francia.
Ritrovamenti appartenenti alla civiltà mesopotamica di Ur, e poi a Tello, in Palestina e a Tell Asman, hanno confermato le origini antichissime di questa pratica. I sigilli cretesi, incisi intorno al 2.000 a.C, ne hanno dato ulteriore conferma, attraverso la rappresentazione di grossi pesci a coda lunata e di attrezzi per la pesca.
Secondo J. Couch (1867) i primi pescatori di tonni furono i Cananei, che riuscirono a perfezionare le loro tecniche di pesca fino a spostarsi in mare sempre più aperto.
Ulteriore conferma che la pesca del tonno veniva già conosciuta e praticata nell’antichità, è data dagli scritti di Omero e Plinio, i quali parlarono della pesca del tonno di Sicilia. Il geografo arabo Al Idrisi (XII secolo), fu il primo a stilare una prima descrizione delle zone di Sicilia coinvolte nella pesca del tonno rosso. Oltre a Trapani, Al Idrisi indicò Milazzo, Castellammare del Golfo e Capo d’Orlando.
L’arrivo dei Normanni portò alla regolamentazione della pesca dei tonni; i feudatari ricevevano una gabella, che serviva a sostenere le tonnare e anche i monasteri, che delle tonnare spesso godevano di ricchi doni, che venivano effettuati in segno di devozione e forse buon auspicio.
Fin dall’antichità, i tonnaroti erano soliti effettuare dei cospicui sacrifici in favore delle divinità del mare. Con l’arrivo del Cristanesimo, il sacrificio prese l’aspetto del rituale; presso le tonnare vennero costruite numerose cappellette e inneggiate preghiere durante la costruzione della tonnara o in mare, poco prima della mattanza.
A Favignana, durante il periodo più proficuo per la pesca del tonno (giugno), sulla muciara (la tradizionale chiatta) veniva deposta una statua di Sant’Antonio, che veniva portata in mare per la mattanza. Al rientro, le donne accoglievano sulla battigia pescatori e statua con una grande festa; spesso veniva posta una palma votiva anche in onore di San Pietro.
Una delle tonnare più conosciute, e anche una delle più grandi del Mediterraneo, è la tonnara di Favignana, nelle Isole Egadi. Fu presa in gestione dalla famiglia Florio nel 1841, dalla famiglia genovese dei Pallavicini. Nel suo complesso è incluso anche lo stabilimento di conservazione e inscatolamento del tonno che presso l’Esposizione Universale del 1891, lanciò l’innovativa apertura delle scatolette a chiave.
Nel 1991, lo stabilimento è stato acquisito dalla Regione Siciliana e nel 2007 è stata effettuata l’ultima ‘mattanza’. Il cosiddetto ‘maiale del mare’ (del quale appunto non si butta via niente), non viene pescato più con questa tecnica a causa dell’inquinamento, che ha ridotto drasticamente il numero di esemplari presenti nel Mediterraneo; ma anche per via della presenza delle cosiddette tonnare volanti, che intercettano il movimento dei banchi a grande distanza e solo allora, una volta avvistati, gettano le reti in mare per catturarli.
Di particolare impatto visivo, è la tonnara di Capo Passero, che continuò la sua attività fino al 1969. Oggi, la tonnara di Favignana è uno splendido esempio di archeologia industriale. Ospita un museo, con sale multimediali, visitabile a pagamento tutti i giorni dell’anno.
Autore | Enrica Bartalotta