Torniamo a parlare di cucina siciliana e lo facciamo parlando di un ingrediente che spesso ritorna in alcune ricette tipiche più famose: lo strutto. Lo troviamo nei biscotti, nell’impasto per la rosticceria e nella tradizionale brioscia, giusto per citare tre famosissime preparazioni. Lo strutto è un grasso animale ricavato dal maiale, che si utilizza da tempo immemore tra i fornelli. Già gli etruschi, che preferivano l’olio d’oliva, utilizzavano lo strutto per preparare un tipo di focaccia simile alle odierne piadine.
Le popolazioni latine antiche usavano proprio lo strutto come principale grasso per cucinare. Lentamente, in seguito, si preferì l’olio d’oliva, soprattutto quando si diffuse la coltivazione dell’ulivo, intorno ai secoli VIII e VI a.C.. Con l’arrivo delle popolazioni barbariche, però, lo strutto riacquistò importante, perché avevano una radicata tradizione nell’uso di grassi animali. Così, influenzarono tutto il Medioevo.
Ma come arriviamo alla Sicilia? È presto detto.
A perfezionare l’estrazione dello strutto in campo alimentare furono gli Spagnoli, nel corso della loro dominazione in Sicilia. Lo chiamavano “saim” e così il nome divenne saimi, termine che tuttora si utilizza nel dialetto palermitano. A Palermo, a quei tempi, lo strutto veniva prodotto in grandi quantità ed era destinato non soltanto al mercato locale, ma a tutti i paesi sotto il dominio spagnolo.
Lo strutto si utilizzava anche per la conservazione dei salumi e degli insaccati. Grazie al suo elevato “punto di fumo”, lo strutto è da tempo largamente utilizzato per le fritture. Una volta lo si usava anche per impermeabilizzare e rendere più morbido il cuoio degli scarponi. Tra gli altri usi non culinari, c’era la lubrificazione e degli ingranaggi e delle assi dei carri agricoli, nonché la preparazione di sapone casalingo.