di Nando Cimino
Tanto si è detto e tanto si è scritto sulla presenza degli arabi in Sicilia; chi ne parla come portatori di arte e cultura, chi ne sottolinea la pacifica convivenza, chi al contrario racconta di vessazioni e soprusi o di conveniente tolleranza.
Una cosa è certa, e cioè che dal punto di vista linguistico, molto hanno influito sulla parlata dei siciliani; ancora oggi infatti, e nella quasi totalità dei casi senza nemmeno saperlo, nell’esprimerci nella nostra lingua, pronunciamo una miriade di parole che ci provengono direttamente dall’arabo.
Quante volte per esempio nel definire una persona imbambolata diciamo di lui che “pari allallatu” ? Credo spesso; e credo pure che in molti non sappiano che la parola allallatu ci viene proprio dall’arabo Allah-allat che significa essere in estasi, o preso da Allah.
Ma tante altre sono le parole di uso comune nella nostra parlata sicula che ci riconducono a questo importante periodo storico; quante volte per esempio in strada camminiamo nelle classiche balate? Ebbene anche questo nome è di provenienza araba ovvero da balat; o quando vediamo una carrubba sappiamo che deriva da harrub, o mischinu da miskin o la deliziosa uva zibibbu da zabib? Credo proprio di no.
Per non parlare poi del comunissimo verbo azzizzari che deriva da aziyz e che in arabo significa adornare; oppure cafuddari, che ci viene invece da kaff che, nella lingua araba, sta ad indicare il palmo della mano.
Che la nostra lingua sia stata infatti contaminata dalle tante dominazioni che si sono succedute in Sicilia è cosa incontrovertibile; abbiamo preso dagli spagnoli, dai francesi ed in tempi più remoti anche dai greci, oltreché appunto dagli stessi arabi che arrivarono in Sicilia nell’827 rimanendovi per oltre duecento anni.
Foto_ Cefalà Diana, Bagni Arabi di Mario Michele Spina