L'emigrazione da Palermo ha prodotto dati molto tristi: nel 2015, ben 13 mila persone hanno lasciato il capoluogo alla ricerca di un presente e un futuro migliori. E la blogger Claudia Rizzo, dalle pagine di "PalermoToday", ha fotografato benissimo il problema, con un pezzo tanto romanzato quanto, appunto, triste. Ecco cosa ha scritto:
Se l’Epifania tutte le feste porta via, settembre fa strage di amici e tutti gli affetti manda lontano. Già, perché Palermo, come la Sicilia, è così: si riempie d’estate e si svuota d’autunno. Non di turisti (quelli a quanto pare ci sono tutto l’anno), ma di palermitani. Non quindi di amanti occasionali del sole e del mare, ma di chi il sole e il mare li ha impressi nel proprio Dna.
Sì, purtroppo per chi rimane a settembre non sono rari gli abbracci di rito da Colletti a fine serata con gli amici storici che abitano a Milano da anni e che l’indomani hanno il volo, il “ci sentiamo su Skype” in auto sotto casa con l’amica che ormai vive negli Usa, il caffè al volo con l’amico di una vita prima che riparta per Roma, il “ti voglio bene” con l’amica che si è spostata la residenza a Bologna e che vedi una volta all’anno, la ricerca disperata insieme all’amica che abita a Londra di quella pasta al nero di seppia che desidera ardentemente dall’ultima volta che è stata qui e che vuole gustare prima di ritornare al fish and chips in Inghilterra, il “quando mi vieni a trovare?” del fratello che ha spostato la sua vita in una città dove il sole è un pallido ricordo ma il lavoro un più che soddisfacente presente, il saluto col compagno di mille battaglie e manifestazioni che si trasferisce, anche lui (l’ennesimo!), lontano da una città ostica come la nostra.
Sono tredicimila i giovani palermitani che nel 2015 hanno fatto le valigie e abbandonato Palermo: tredicimila giovani che, sommati ai tanti altri prima di loro, hanno deciso di non rimanere a litigare su Facebook sulla scelta dell’Amministrazione di abbassare il limite di velocità in viale Regione, quanto piuttosto di costruire il proprio presente e di sognare il futuro lontano da quegli affetti e da quei luoghi che hanno sempre fatto parte della loro vita, rinunciando con dolore al sole, al mare e al buon cibo per cercare la propria realizzazione.
Perché a molti di loro, dopo anni di stage non pagati, di lavori in nero e mal retribuiti, di disoccupazione a tempo indeterminato, di mancanza di soddisfazione personale e sconforto dovuto alla constatazione della realtà, non interessa più quanto sia buona la pasta con le sarde o quanto sia bello potere andare a mare fino a novembre. Quello che preme è sentirsi appagato, avere un motivo per guardarsi allo specchio senza rimpianti, spendere le proprie energie per un lavoro più vicino ai propri studi o per un datore di lavoro diverso da quello che, a ogni piccola rimostranza, li zittisce con un banale e veritiero “tanto dietro di te c’è la fila” (mettendoli a tacere per sempre perché sono senza contratto e non possono proprio permettersi di perdere anche quel poco che hanno).
Settembre è crudele. Ci sbatte in faccia la realtà. Ci ricorda che, mentre c’è chi fa la rivoluzione attaccato alla poltrona, un mondo di energie, competenze, potenziale e motivazioni viene sprecato, lasciato andare lontano sapendo che, nella maggior parte dei casi, non tornerà più. Perché, nonostante l’infinita nostalgia, si abituerà a vivere in un posto dove un contratto (per quanto ormai senza diritti) lo fanno o, ancora meglio, in un luogo dove la giovane età viene vista come una risorsa e non come una malattia da sconfiggere con tutte le armi possibili, dove per ottenere qualcosa non è necessario avere questo o quell’amico ma contare solamente sul proprio merito.
E sarà difficile attrarlo nuovamente, sarà difficile spiegare a quel mondo (che non possiede più la forza e la volontà di resistere e lottare) che prima o poi, a piccoli passi, le cose cambieranno. Sarà difficile convincerlo che la risposta a chi parla male della Sicilia la prossima volta non sarà una foto al mare, ma l’attuazione di politiche serie volte al rilancio di un’isola maltrattata e calpestata nella sua dignità.