A Erice oggi sono rimasti poco più di 500 abitanti, ma una volta il suo territorio era molto esteso e comprendeva anche comuni molto distanti geograficamente tra loro, come San Vito Lo Capo, Valderice e Custonaci.
Il nome di Erice deriva dal greco antico Erix, personaggio mitologico figlio di Afrodite e di Boote.
Secondo Tucidide, Erice fu fondata dagli esuli troiani, e, questi, unitisi alla popolazione autoctona, avrebbero poi dato vita al popolo degli Elimi. La città fu contesa dai Siracusani e dai Cartaginesi, fino alla conquista romana del 244 a.C.
Secondo altri storici, come Filisto da Siracusa, Erice è stata fondata, come Segesta, da un popolo di liguri che discesero in Sicilia; Erice in particolare, era il centro del culto religioso dei Siculi.
Nell’”Eneide” di Virgilio, Erice viene citata due volte: la prima, in occasione della morte del padre Anchise; Enea giunse infatti a Erice per seppellire il padre presso il santuario dedicato ad Afrodite, e un’altra un anno dopo, per i giochi messi appunto in onore. Durante la Prima Guerra Punica, il generale cartaginese Amilcare Barca, si incaricò di costruirne la fortificazione; in seguito, trasferì parte degli ericini qualche chilometro più in là, per fondare Drepanon, l’odierna Trapani. A Erice, i Romani vi veneravano la “Venere Erycina”, prima dea della mitologia romana a rassomigliare ad Afrodite.
Fu denominata Gebel-Hamed dagli Arabi, (dall’831), ma probabilmente non fu abitata. Di Erice si hanno notizie dettagliate nel periodo Medievale, quando fu ripopolata dai Normanni, e battezzata col nuovo nome di Monte San Giuliano, nel 1167. In questo periodo, vennero costruiti nuovi edifici, civili e religiosi, che diedero nuovo prestigio alla cittadina; cittadina che presto divenne una della maggiori città demaniali del Regno, occupando il vasto territorio che si estendeva dal Monte omonimo fino a Trapani, e a oriente fino verso il comune di San Vito Lo Capo e Castellammare del Golfo.
Erice deve la sua rinascita alla Guerra del Vespro, quale rocca da cui Federico d’Aragona faceva scaturire le sue offensive.
A partire dal XVI secolo, si svolge la processione dei misteri nella sacra rappresentazione del Venerdì Santo; un evento che emula quello trapanese, più grande e fastoso. Nel 1934, Monte San Giuliano riprende il nome di Erice; dal 1963, è sede del Centro di Cultura Scientifica “Ettore Majorana”, voluto dal professor Antonino Zichichi, in onore del grande fisico catanese scomparso misteriosamente. La struttura richiama gli studiosi più eminenti del mondo verso la trattazione scientifica di problemi che spaziano dalla medicina al diritto, dalla storia all’astronomia, dalla filologia alla chimica; per questo motivo Erice viene anche denominata ‘città della scienza’.
Dal ’72, Erice ospita l’Associazione Artistica Culturale “La Salerniana”. Fondata dal poeta Giacomo Tranchida, l’edificio conserva opere di Carla Accardi, Pietro Consagra ed Emilio Tadini tanto per citarne alcuni, e organizza mostre d’arte contemporanea. Nel 1990, si tenne la prima edizione dell'”Atelier Internazionale di Gastronomia Molecolare”, che attestò il formale riconoscimento della disciplina.
Da non perdere, sono sicuramente le vestigia del periodo medievale; il Castello e le torri del Balio, ma anche il Castello di Venere, maniero normanno sorto sulle antiche fondamenta del tempio romano dedicato a Venere Erycina.
Erice era anche conosciuta con l’appellativo antico di ‘città delle cento chiese e dei monasteri’; la vita monastica caratterizzò infatti, insieme agli edifici nobiliari, la storia settecentesca della città. Necessaria, è dunque una visita al Duomo dell’Assunta, Chiesa madre di Erice, e agli ex conventi di San Domenico e di San Francesco (prima Palazzo Ventimiglia), che ospitano il Centro di Cultura Scientifica “Ettore Majorana”. Il Duomo fu costruito da Federico III d’Aragona nel 1312, si dice con materiale proveniente dal tempio romano, sulle fondamenta di un ex luogo di culto che apparteneva all’epoca dell’Imperatore Costantino (IV secolo). L’austera facciata è costituita da archi a sesto acuto, sormontati da rosone gotico. Al suo interno, si conserva la pala marmorea dell’altare maggiore, ad opera di Giuliano Mancino; i soffitti furono scolpiti dopo il crollo della parte interna, avvenuto nel 1853.
Autore | Enrica Bartalotta