Si è conclusa, dopo 13 giorni di navigazione al largo delle coste di Catania, la spedizione “Meteor M198“, organizzata dal Centro di Ricerca Oceanografica GEOMAR di Kiel (Germania). Lo scopo principale di questa crociera scientifica è stato indagare le porzioni sommerse del fianco sud-orientale dell’Etna, in costante movimento sotto le acque del Mediterraneo.
Ha partecipato anche l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV): “L’INGV monitora da diversi anni i lenti ma progressivi movimenti dell’Etna”, ha spiegato Alessandro Bonforte, ricercatore dell’Istituto che era a bordo della spedizione M198. “Questi piccoli movimenti, che non coinvolgono solo la parte emersa del vulcano, non sono di norma particolarmente pericolosi, tuttavia in alcuni casi e in particolari condizioni possono diventare più consistenti e dare origine, oltre ai ben noti terremoti che periodicamente interessano il fianco orientale, anche, ad esempio, a frane sottomarine“.
La spedizione ha coinvolto un team di ricerca internazionale, che indaga comprendere se il fianco sud-orientale del vulcano stia scivolando verso lo Ionio come blocco unico o in più porzioni e quali siano le origini di questa dinamica.
“L’obiettivo più ambizioso della nostra spedizione è stato evidenziare come le osservazioni e le misurazioni subacquee siano fondamentali per comprendere meglio strutture come l’Etna e fenomeni complessi come lo scivolamento in mare del fianco di un vulcano, sia esso costiero come l’Etna o insulare. In questo contesto, affiancare i dataset provenienti dal mare a quelli elaborati a terra attraverso rilievi strutturali, GNSS e satellitari consente di avere a disposizione un vero e proprio osservatorio a 360° sul vulcano”, ha aggiunto Bonforte.
I ricercatori a bordo della nave Meteor hanno adottato un approccio multidisciplinare. Oltre alla raccolta di campioni di roccia e di sedimenti e alla mappatura del fondale marino effettuata grazie a sonar multibeam e sofisticati droni subacquei, grazie alle tecniche geodetiche hanno sfruttato una rete di sensori acustici già installati sui fondali al largo di Catania nel 2016 per calcolare, sulla base dei tempi di propagazione delle onde sonore, i relativi movimenti di scivolamento tra i vari punti della rete.
Queste misure hanno già permesso di rilevare la deformazione attiva sulla prosecuzione della faglia di Acitrezza, almeno fino a 1200 metri di profondità.
Una nuova tecnica applicata ai vulcani
La nuova missione è stata occasione per sperimentare una tecnica che, fino a ora, non era mai stata applicata ai vulcani e che ha previsto l’installazione di due piezometri per misurare le variazioni di pressione e di temperatura dell’acqua contenuta nei primi 5 metri di sedimento sul fondo del mare in prossimità della faglia. L’obiettivo, in questo caso, è provare a capire se, come già evidenziato per alcuni terremoti, un movimento del fianco del vulcano sia accompagnato o possa essere anticipato da cambiamenti nelle caratteristiche dei fluidi presenti al suo interno.
“Il paradigma che stiamo adottando è quello di ”rimuovere l’acqua”, almeno come limite mentale. La linea di costa che delimita tutte le mappe non è infatti un limite geologico o geodinamico, ma solo un limite alle nostre capacità osservative. L’Etna è tra i vulcani meglio studiati al mondo, un laboratorio a cielo aperto, e ciò ha consentito un enorme avanzamento della conoscenza dei fenomeni geologici che la caratterizzano; questo rende ancora più evidente la lacuna di conoscenza sul fianco della montagna che prosegue al di sotto del livello del mare“, ha aggiunto Alessandro Bonforte.
“Ogni campagna oceanografica aggiunge un tassello all’enorme spettro di osservazioni che si possono e si devono condurre sui fondali prospicienti al vulcano e pone nuovi quesiti a cui si cercherà di dare risposta con le campagne successive. È l’essenza del nostro lavoro di ricercatori e del progresso della conoscenza, uno stimolante percorso pieno di interrogativi da sciogliere”, ha concluso Bonforte.
Foto INGV