Potrebbe essere l’Etna a risolvere il mistero del vulcanismo di Venere. L’iconico vulcano siciliano, infatti, sarebbe un analogo terrestre per lo studio di Idunn Mons, un vulcano venusiano forse tutt’ora attivo e che, stando ai dati disponibili, si ritiene abbia eruttato in tempi geologici recenti.
Un team internazionale di ricercatori guidati dall’Inaf (Istituto nazionale di astrofisica), in collaborazione con i vulcanologi dell’Osservatorio etneo dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv-Oe), ha proposto proprio l’Etna come riferimento per il vulcano venusiano Idunn Mons.
Venere e i suoi vulcani, spiega proprio l’Inaf, sono tra gli obiettivi principali delle future missioni (quelle della Nasa Veritas e Davinci, la missione Esa EnVision e la missione Isro Shukrayaan-1) che studieranno il gemello della Terra, il secondo pianeta più vicino al Sole.
Grazie alle ricerche sull’Etna, i geologi potranno testare tecniche di analisi dei dati radar per l’individuazione di attività vulcanica in corso su Venere. Allo studio hanno partecipato Nasa, Università di Londra, Accademia delle scienze di Mosca, Indian Space Research Organisation, Università degli Studi di Catania, Università Sapienza di Roma, Università degli Studi di Pavia, Coventry University e Universidad Rey Juan Carlos di Madrid.
Piero D’Incecco, primo autore dell’articolo e ricercatore presso l’Inaf d’Abruzzo, spiega: “La comparazione ha evidenziato che entrambi i vulcani interagiscono con una zona di rift e ha messo in luce la presenza sui fianchi di Idunn Mons di strutture vulcaniche di piccole dimensioni, morfologicamente simili ai coni di scorie presenti sui fianchi dell’Etna”.
I geologi che si occupano di vulcanismo hanno nell’Etna un vero e proprio laboratorio naturale a cielo aperto, perché è facile da raggiungere e perché si possono effettuare osservazioni in-situ, prelevando campioni di lava, che saranno poi comparati con quelli prodotti dalle future missioni su Venere. I dati daranno supporto per definire il livello di similarità con le lave dei vulcani venusiani.
“La facilità di accesso permetterà anche di utilizzare l’Etna come possibile area di test per operazioni di perforazione del suolo da parte dei lander che atterreranno sulla superficie di Venere grazie a future missioni come la Roscosmos Venera-D”, continua D’Incecco.
“Il vulcano Etna a partire dal XIX secolo in poi è stato, e continua a essere, un laboratorio di ricerca per tutta la comunità scientifica italiana e internazionale riguardo gli studi di tipo geologico, vulcanologico, geofisico e geochimico”, aggiunge Stefano Branca, direttore dell’Osservatorio etneo dell’Ingv e coautore dell’articolo.
“Grazie al sistema di monitoraggio multiparametrico dell’Osservatorio etneo dell’Ingv, è uno dei vulcani meglio studiati al mondo. Questo lavoro evidenzia ancora di più questo aspetto anche per quanto riguarda lo studio del vulcanismo planetario, come nel caso di Venere. Infatti le notevoli conoscenze sulla storia eruttiva del vulcano siciliano, acquisite durante gli studi realizzati per la pubblicazione della carta geologica dell’Etna alla scala 1:50.000, unitamente alla conoscenze sull’attività recente hanno permesso di fare una comparazione morfostrutturale con il vulcano Idunn al fine di individuare possibile evidenza di vulcanismo attivo su Venere”.
La comunità scientifica concorda sul fatto che il vulcanismo su Venere sia comparabile al vulcanismo di tipo hot-spot terrestre. Esempio lampante sono i vulcani hawaiani. L’analisi delle differenze e delle analogie tra strutture vulcaniche di pianeti diversi come Venere e Terra ci ricorda che non esiste un analogo “perfetto” e che, quindi, è fondamentale studiare quanti più analoghi possibile, giacché ogni vulcano terrestre può aiutarci ad approfondire e comprendere meglio un aspetto specifico del vulcanismo venusiano.
“Questo studio rappresenta il primo tassello di un’importante collaborazione multidisciplinare tra astrofisici e vulcanologi dell’Osservatorio etneo dell’Ingv. Una sinergia che apre affascinanti capitoli di ricerca e getta nuova luce sui misteri del vulcanismo di Venere”, conclude Branca.
Foto in evidenza di Valentina Gasparre – Own work, CC BY-SA 4.0.