Come si fa lo sfincione bianco?
- Lo street food siciliano è una sinfonia di sapori, un trionfo di gusto e tradizione.
- Lo sfincione senza salsa di pomodoro è una specialità di Bagheria, che differisce notevolmente dalla versione “rossa”.
- La food blogger Chiara Maci è andata direttamente nella patria di questa prelibatezza, per conoscerne i segreti.
Quando si parla di street food siciliano, è davvero difficile scegliere. Di fronte alla vastità di proposte, non si può fare altro che assaggiare tutto. Il cibo da strada nasce dalla tradizione povera e si è arricchito nel corso del tempo grazie a contaminazioni e importanti contributi. Lo sfincione bianco è una specialità di Bagheria, nel Palermitano. A differenza dello sfincione di Palermo, non include la salsa di pomodoro e viene condito con tuma o ricotta. Per conoscerne da vicino i segreti, Chiara Maci è andata al Forno Valenti di Bagheria con il programma L’Italia a Morsi e si è fatta raccontare da Maurizio Valenti come si prepara. La famiglia Valenti realizza questo sfincione da cinque generazioni.
L’impasto di farina di grano duro lievita per 24 ore, il giorno prima si prepara la biga, che si rinfresca quotidianamente. La pasta è davvero soffice. Le si dà una prima stesura e subito si rimane colpiti per la sua morbidezza. È alta e morbida come una spugna: un dettaglio, questo, che non deve stupire, perché il nome sfincione, così come sfincia, deriva dal termine arabo che indica la spugna (e dal latino spongia). Quando la pasta è stesa, si condisce prima con le acciughe, poi con la tuma a pezzi grossi o la ricotta. Bisogna proprio riempire tutto, con abbondanza. Si completa con cipolla, mollica e olio, quindi si inforna. Secondo Maurizio Valenti, lo sfincione di Bagheria è più “gourmet” rispetto a quello palermitano.
Anticamente, tutte le famiglie bagheresi portavano ai forni i loro sfincioni, per farli infornare. Per evitare che si confondessero, ognuno metteva un segnale, tipo una noce o una patata. Il fornaio, quando li sfornava, non chiamava per cognome, bensì urlando il nome del segno distintivo, come “Noce!”
Foto: Antico Forno Valenti