Il fiume Amenano riforniva d’acqua l’intera città di Catania e scorreva da viale Mario Rapisardi fino a piazza Santa Maria di Gesù, proseguendo poi in direzione ovest verso il monastero dei Benedettini. Si divideva in tre rami: il primo si dirigeva verso la Pescheria e Villa Pacini, il secondo verso il teatro romano e piazza Duomo ed il terzo verso le terme achilliane, terminando al porto.
Oggi è un corso d’acqua sotterraneo, passato attraverso una storia non certo facile. Seppellito dall’eruzione dell’Etna del 1669, divenne un silenzioso e sotterraneo abitante della città, nascosto tra le viscere della città. L’eruzione arrivò fino a Catania, coprendo interamente il lago di Nicito, dal quale derivavano i 36 canali che alimentavano i rami dell’Amenano.
Il nome Amenano (dal greco “amènanos” e dal latino “amenànus”) si collega all’omonima divinità greca, con corpo di toro e faccia da uomo. Un “dio-fiume”, raffigurato in molte delle antiche monete risalenti al V secolo a.C.. Viene già citato da Strabone nel suo libro quinto del “Rerun Geographcarum” e da Ovidio nei “Fasti”, nel racconto del peregrinare di Cerere. E ancora in Ovidio con “Le Metamorfosi”
Nel corso del Medioevo il fiume venne chiamato Judicello, perché attraversava l’antico quartiere ebraico della Giudecca: il nome rimase in uso fino all’Ottocento.
L’Amenano è il simbolo della forza e della tenacia di Catania, delle sua capacità di risorgere dalle ceneri della lava e dalla distruzione, di avere la meglio sul fuoco e ricomparire dal nulla.