Quando Francesca Morvillo morì nel sanguinoso attentato della Strage di Capaci aveva 46 anni.
Era la moglie di Giovanni Falcone – troppo spesso viene ricordata solo per questo aspetto – ma non solo. Era una professionista del diritto, un esempio per i giuristi, una donna impegnata nel sociale, sempre dalla parte dei più deboli. Oggi è uno dei simboli più nobili della lotta alla mafia.
La sua vita professionale è stata ricostruita in un libro scritto dalla docente palermitana Daniela Mainenti, professore straordinario in diritto processuale penale comparato dei paesi Euro-Med presso UTIU Università Telematica Internazionale UniNettuno.
Il volume è “Educazione e giustizia. Francesca Laura Morvillo” edito da Pacini Giuridica (154 pagine), disponibile dai primi giorni del mese di giugno.
Il sottotitolo del libro è indicativo del tipo di pubblicazione: “Storia professionale e metodo di un magistrato al servizio della giustizia minorile nel quadro dell’evoluzione del sistema”.
Abbiamo chiesto a Daniela Mainenti di parlarci di Francesca Morvillo donna e magistrato.
“Io non ho avuto – premette la professoressa Mainenti – la possibilità di conoscerla. Questo libro nasce da un progetto e da una curiosità: ho voluto capire che tipo di magistrato fosse Francesca Morvillo, non solo vittima della Strage di Capaci e non solo moglie di Giovanni Falcone.
Altri libri su di lei o film prodotti in questi 31 anni l’hanno ritratta da un punto di vista romantico.
Io ho voluto approfondire gli aspetti legati alla sua professione, perché era una professionista del diritto, e ho scoperto il suo essere un magistrato, sì, ma particolare.
Il mio non è un saggio né un romanzo, lo definirei un libro scientifico che parla anche dell’evoluzione del sistema processuale e penale negli anni”.
Francesca Morvillo, dice Mainenti, “era un talento del diritto”, una donna dedita in tutto e per tutto al suo lavoro nel quale credeva fermamente, una donna votata al bene, quel bene che si può esercitare a partire dalle aule della giustizia. Lo conferma l’autrice del volume: “Ho trovato documenti presso il Consiglio Superiore della Magistratura dai quali ho scoperto che in un anno si era occupata di oltre 700 sentenze. Aveva numeri da record anche durante la sua attività al Tribunale dei Minori di Palermo, dove aveva lavorato dal 1972 al 1988. Era stata sostituto procuratore.
In occasione di un processo, in una sola giornata, aveva sentito 35 persone informate sui fatti.
Non si fermava mai”.
Il libro nasce anche da una scoperta. La professoressa Mainenti, parlando con Claudia Caramanna, procuratore per i minorenni di Palermo, è venuta a conoscenza del fatto che in un’ala abbandonata e fatiscente del carcere Malaspina della città, si trovavano i fascicoli dei processi istruiti da Francesca Morvillo. Claudia Caramanna li ha recuperati e provveduto a farli digitalizzare e così la professoressa Mainenti ha potuto studiarli. “Si tratta di atti – dice l’autrice del volume – che erano stati scritti da Francesca Morvillo a mano o nel migliore dei casi con la macchina da scrivere.
A quei tempi non c’era internet. I magistrati utilizzavano le loro conoscenze e Francesca Morvillo applicava la legge in maniera molto minuziosa ma sempre facendo una riflessione sul disagio minorile”.
Il volume ricostruisce anche gli anni della Palermo in cui visse e operò Francesca Morvillo. Anni davvero bui – in cui lo strapotere di Cosa nostra imperava – si parlava ancora poco di mafia e di come fermarla. “Eppure – aggiunge Mainenti – la mafia negli anni ’70 e ’80 è riuscita a modificare interi quartieri della città anche dal punto di vista urbanistico”.
Francesca Morvillo aveva a che fare con un contesto assai difficile. “Oggi – afferma la professoressa – tutti parliamo di legalità ma bisogna capire quanto difficile fosse farlo ai tempi di Francesca Morvillo, che è l’unico magistrato europeo donna ucciso dalla criminalità terroristico-mafiosa.
Lei ha dedicato la sua vita alla legalità. Non dobbiamo mai stancarci di parlare di legalità ma con la consapevolezza che bisogna farlo anche nelle periferie, nei territori dove c’è difficoltà di accesso ai servizi rispetto al centro delle città. Questo aspetto Francesca Morvillo lo aveva capito”.
“E’ giusto – conclude Mainenti – valutare la vita e l’operato di Francesca Morvillo nella sua singolarità. Spesso è stata descritta come una sorta di figura ancillare all’ombra del marito.
Non possiamo dimenticare il suo valore. Rispetto al rapporto con Giovanni Falcone mi sono fatta l’idea di una donna assolutamente consapevole della realtà e del rischio in cui viveva. Un rischio accettato, o forse meglio abbracciato, senza se e senza ma. E’ stata una donna di grandissima forza, a prescindere dal marito. Non a caso, in Corte D’Appello, era stata uno dei giudici che aveva condannato Vito Ciancimino”.