Ha la firma del siciliano Francesco Lo Coco la rivoluzione che ha ribaltato il destino dei pazienti con leucemia promielocitica, detta "leucemia fulminante": la malattia, da killer che non perdona, è passata a malattia guaribile in 9 casi su 10 senza chemioterapia. Classe 1955, Lo Coco ha origini palermitane ed è ordinario di Ematologia all'Università di Roma Tor Vergata: è stato premiato a Stoccolma al 23esimo Congresso della Società europea di ematologia-Eha per lo studio con cui ha impresso una svolta mirata e 'chemio free' al trattamento della patologia.
"La leucemia promielocitica – spiega Lo Coco all'AdnKronos – ha origine dalla crescita incontrollata dei promielociti, progenitori dei globuli bianchi. Invece di 'diventare grandi' come normalmente avviene nel midollo osseo, queste cellule si accumulano in forma immatura determinando anemia e frequenti emorragie. La malattia, fortunatamente rara (120-150 casi l'anno in Italia), può colpire trasversalmente senza preferenze di sesso o età, con una mediana intorno ai 38-40 anni. Può insorgere in modo improvviso e spesso ha un decorso aggressivo, a volte fulminante per via delle gravi emorragie interne: senza una diagnosi rapida e accurata, e in assenza di terapie adeguate, ancora oggi questo tumore può avere esito fatale in poche ore o in pochi giorni".
Il destino dei malati, in un quarto di secolo, è cambiato: se fino ai primi anni '90 il 70-80% moriva entro 1-2 anni, grazie a una serie di scoperte avvenute negli ultimi 25 anni "oggi possiamo salvarli nella stragrande maggioranza dei casi. Già abbinando acido retinoico e chemioterapia il tasso di guarigione era passato al 70-80%, mentre ora siamo arrivati a oltre il 90% senza chemio", evidenzia Lo Coco, che ha avuto un ruolo di primo piano in entrambe le rivoluzioni e ci tiene a condividere i suoi allori "con chi li ha resi possibili, con la mia squadra e i miei maestri". A cominciare da Franco Mandelli, fondatore del Gimema-Gruppo italiano malattie ematologiche dell'adulto. "Quello per cui vengo premiato è uno studio Gimema – precisa – con tre quarti dei pazienti arruolati italiani. Vi hanno partecipato due gruppi cooperativi tedeschi".