Gaspare Pisciotta chi era? Biografia del siciliano diventato celebre tra le pagine di storia del secondo dopoguerra. Dove è nato e come è morto, quale legame aveva con Salvatore Giuliano. L’arresto e il processo per il massacro di Portella della Ginestra.
Gaspare Pisciotta è nato a Montelepre (Palermo) il 5 marzo del 1924 ed è morto a Palermo, il 9 febbraio del 1954, quando aveva 29 anni. Non era, come si crede erroneamente, il cugino di Salvatore Giuliano: si conobbero da bambini e diventarono amici da ragazzi (era consuetudine, ai tempi, chiamare “cugini” gli amici stretti). Pisciotta si arruolò nell’esercito e fu catturato nel 1944.
Tornato a Montelepre nel giugno del 1944 e malato di tubercolosi, si unì alla campagna separatista di Giuliano. La malattia lo afflisse a lungo e lo stesso Giuliano si adoperò per trovargli la streptomicina, difficile da reperire in Italia. Poco dopo la morte di Salvatore Giuliano, avvenuta il 5 luglio del 1959, Pisciotta viene catturato e incarcerato. L’11 aprile del 1951 rivelò di aver ucciso lui Giuliano, nel sonno.
Sosteneva di averlo fatto dietro istruzioni del Ministro dell’interno Mario Scelba e di aver raggiunto un accordo con il colonnello Ugo Luca, comandante del Comando forze repressione banditismo in Sicilia, di collaborare, a condizione che non fosse condannato e che Luca sarebbe intervenuto in suo favore qualora fosse stato arrestato.
Al processo per il massacro di Portella della Ginestra, Gaspare Pisciotta dichiarò: “Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così: il deputato DC Bernardo Mattarella, il principe Alliata, l’onorevole monarchico Marchesano e anche il signor Scelba… Furono Marchesano, il principe Alliata, l’onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella della Ginestra… Prima del massacro incontrarono Giuliano…”. Mattarella, Alliata e Marchesano furono dichiarati innocenti dalla Corte di Appello di Palermo.
“Servimmo con lealtà e disinteresse i separatisti, i monarchici, i democristiani e tutti gli appartenenti a tali partiti che sono a Roma con alte cariche, mentre noi siamo stati scaricati in carcere. Banditi, mafiosi e carabinieri eravamo la stessa cosa“, aggiunse. Per lui arrivò una condanna all’ergastolo e ai lavori forzati.
Dopo la condanna, Pisciotta, dichiarò che avrebbe raccontato tutta la verità, in particolare su chi firmò la lettera che fu recapitata a Giuliano il 27 aprile 1947, che commissionava il massacro di Portella della Ginestra in cambio della libertà per tutti i membri della banda, e che Giuliano aveva distrutto immediatamente.
Gaspare Pisciotta riteneva che la sua vita nel carcere dell’Ucciardone, a Palermo, fosse in pericolo: “Uno di questi giorni, mi uccideranno”. Secondo alcuni, avrebbe avuto un piccolo passero al quale faceva mangiare il cibo prima di mangiarlo a sua volta, per paura di essere avvelenato, e non mangiava il cibo del carcere ma soltanto quello preparato da sua madre, che gli veniva recapitato in cella.
Ciononostante, la mattina del 9 febbraio 1954, prese un preparato vitaminico che egli stesso sciolse nel caffè. Quasi immediatamente venne colpito da lancinanti dolori addominali e, nonostante fosse stato portato immediatamente all’infermeria della prigione, morì nel giro di quaranta minuti. Secondo l’autopsia, la causa del decesso fu l’ingestione di 20 mg di stricnina, veleno per i topi che infestavano il carcere.
Per l’avvelenamento furono processati un agente di custodia e come mandante Filippo Riolo, boss mafioso di Piana degli Albanesi: entrambi furono assolti in corte d’appello per insufficienza di prove. Nel 1995 il pentito calabrese Antonino Mammoliti rivelò che detenuti calabresi all’Ucciardone prestarono la loro collaborazione ai siciliani per eliminare Pisciotta.
La madre di Gaspare, Rosalia, scrisse una lettera aperta alla stampa, denunciando il possibile coinvolgimento di politici corrotti e della mafia nell’uccisione del figlio, dicendo: “Sì, è vero che mio figlio Gaspare non potrà più parlare e molta gente è convinta di essere al sicuro; ma chissà, forse qualche altra cosa può venir fuori”.