Nato a Comiso il 15 novembre del 1920, Bufalino condusse fin da bambino una vita ritirata. Si dedica fin da subito ai libri e alla carta stampata in generale, passando molte ore nella biblioteca del padre, un fabbro appassionato di letteratura. Terminati gli studi, prima a Comiso poi a Ragusa, Bufalino tornò nella città natìa dove iniziò immediatamente a scrivere. Valente e dotato, il giovane Bufalino portò a casa, nel 1939, il suo primo premio letterario, bandito dall’”Istituto nazionale di studi romani”.
Successivamente si iscrive all’Università di Catania, per intraprendere gli studi presso la facoltà di “Lettere e Filosofia”, ma nel 1942 viene chiamato alle armi. Nel 1943, il sottotenente Bufalino viene catturato dai tedeschi, da cui riuscì a fuggire poco dopo. All’indomani dell’armistizio, Bufalino si rifugia presso degli amici in Emilia-Romagna, e lì inizia a insegnare.
Nel 1944, contrae la tisi, che lo costringe a letto prima a Scandiano, poi nei pressi di Palermo, in un sanatorio della Conca d’Oro. Finalmente guarito, nel 1946, Bufalino riprende i suoi studi, questa volta presso l’ateneo di Palermo. Dal calvario della malattia nascerà la sua storia più celebre, un racconto distaccato che cela quello più profondo e sofferto della sua biografia; opera pubblicata all’età di 61 anni, che gli valse il Premio Campiello del 1981.
Tra il 1946 e il 1948 pubblica un gruppo di liriche e scritti in prosa sui due periodici: “L’Uomo” e “Democrazia”. Nel 1956, le sue poesie diventano il frutto di un lavoro di collaborazione tra Bufalino e la RAI, nell’ambito della nascita del ‘Terzo Programma’.
Dal 1947, Bufalino rinuncerà alla carriera letteraria per dedicarsi quasi in toto all’insegnamento presso l’Istituto Magistrale di Vittoria, dove rimarrà fino alla pensione. Sua è l’introduzione al libro del 1978, “Comiso ieri. Immagini di vita signorile e rurale”, una raccolta di fotografie ottocentesche della casa editrice Sellerio, e le traduzioni delle “Controrime” di P.J. Toulet, dei lavori di Giraudoux, Madame de La Fayette, Hugo e Renan, pubblicate sempre dalla casa editrice palermitana di Elvira Giorgianni.
Dopo il boom del 1981 con il suo romanzo d’esordio ”Diceria dell’untore”, Bufalino si dedicò freneticamente alla produzione di almeno un’altra decina di opere, divise tra narrativa, saggistica e poesia. Con il romanzo “Le menzogne della notte”, Bufalino portò a casa anche il Premio Strega. Nel 1990, dal libro del 1981 verrà tratto un film per la regia di Beppe Cino, con Remo Girone, Lucrezia Lante della Rovere e Franco Nero. Nel ’96 muore per via di un incidente stradale, sulla strada tra Comiso e Vittoria, proprio mentre stava avviandosi alla produzione di un nuovo romanzo: “Shah Mat”, di cui ci rimangono soltanto due capitoli.
Ma Bufalino era un personaggio particolarmente eclettico; tra i tanti interessi, oltre alla poesia e alla letteratura, svettano l’amore per il cinema e per la musica, lirica, classica e jazz in particolare. Il cinema influenzò molto la formazione culturale del giovane Bufalino, che in eredità ci ha lasciato un quadernetto su cui annotava tutte le caratteristiche principali dei film che andava a vedere, con regolare cadenza, prima nella sala cinematografica di Comiso, poi presso il Circolo del Cinema di Ragusa, di cui era un assiduo frequentatore. Nel taccuino, Bufalino registrava informazioni utili quali i titoli, ordinati per anno e mese, completi di casa di produzione e regista. Nel tempo, questa sorta di registro, curato tra il 1934 e il 1955, divenne una sorta di rubrica di critica cinematografica, a cui vennero aggiunti anche il genere e il voto. Tra i registi più recenti, Bufalino apprezzò molto il lavoro di Tarantino in “Pulp Fiction” e di Almodovar. Molti i chiari riferimenti cinematografici che si riscontrano nella sua narrativa; non da ultimo, il progetto di realizzare un film intitolato “Fatto successo”, con l’idea di ambientarlo all’interno dell’Isola.
Costanti sono anche i riferimenti alla storia del jazz come in “Bluff di Parole”, con la figura di Coleman Hawkins, e in “Argo il cieco”, attraverso i personaggi di Duke Ellington e Sidney Bechet, tanto per citarne alcuni. Una curiosità: durante la sua convalescenza a Scandiano, Bufalino si occupò della trasposizione in versi italiani de “I fiori del male” di Baudelaire: il poeta non possedeva il testo originale in francese, ma solo una versione in prosa italiana. Sua fu anche la traduzione degli “Adelphoe”, l’ultima delle sei commedie di Terenzio, che mise appunto nel 1983 per l’Istituto Nazionale del Dramma Antico, che lo mise in scena, quella stessa estate, presso il teatro greco di Segesta a cui Bufalino partecipò come spettatore.
Autore | Enrica Bartalotta