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Gioacchino La Barbera, chi è il collaboratore di giustizia. Biografia: dove è nato, quanti anni ha, cosa ha fatto. Il ruolo nella strage di Capaci del 1992, processo, condanna e testimonianze.

Gioacchino La Barbera

Gioacchino La Barbera nasce ad Altofonte, in provincia di Palermo il 23 novembre del 1959, quindi ha 63 anni. Si pente nel 1994 e diviene uno dei testimoni chiave nel processo contro gli assassini di Giovanni Falcone. Secondo gli inquirenti, è colui che ha dato materialmente il segnale per fare partire l’attentato della Strage di Capaci.

Per la sua partecipazione alla strage, riceve una pena di 14 anni di reclusione. In seguito al suo pentimento, il padre Girolamo La Barbera (detto “Zu Mommo” viene ucciso).

Strage di Capaci

Secondo quanto emerso dalle indagini, il pomeriggio del 23 maggio del 1992 Gioacchino La Barbera doveva dare il segnale agli assassini di Falcone, appostati su un’altura sovrastante l’autostrada A29. Li avrebbe chiamati una volta avvistato il corteo delle tre auto blindate, cioè una Croma bianca col magistrato a bordo, poi due di scorta.

Rimane al telefono per 325 secondi, quasi sei minuti, quindi arrivato al bivio per Partinico, chiude la comunicazione. Il piano prevede che, non appena l’auto del giudice sia giunta all’altezza di un vecchio elettrodomestico abbandonato sul ciglio della strada, dalla collina qualcuno premesse il pulsante del radiocomando.

Alle 17,56 e 48 secondi, avviene l’esplosione che costa la vita a Falcone, la moglie e tre agenti di scorta. Gioacchino La Barbera racconterà poi di aver visto un’enorme nuvola di fumo alzarsi nel cielo e prendere la forma di un fungo “come quello della bomba atomica“. Per lui scatta l’arresto dieci mesi dopo, la sua voce è incisa su un nastro e inchioda lui e gli altri responsabili.

“Ddocu… a Capaci… unni ci fici l’attentatuni”, racconta a un amico, mentre una microspia della Dia registra le conversazioni. Diviene poi un collaboratore di giustizia, raccontando i dettagli della strage e di altri delitti di Cosa nostra. “Io ero impressionato dalla determinazione che avevo sentito nei discorsi di Leoluca Bagarella e degli altri”.

Ricevuto l’incarico domandai: ”Ma se accanto alla macchina del giudice c’è un pullman di gente qualunque, oppure un’autobotte carica di benzina, che faccio? Rinviamo, no?”. ”Neanche per sogno”, mi risposero, ”tu avvertici quando vedi la Croma bianca, al resto pensiamo noi””, racconta al Corriere della Sera.

Quindi spiega anche: “La macchina di Giovanni Falcone andava più piano del previsto. Avevamo fatto le prove a una velocità di 160 chilometri all’ora, invece quelli andavano a 80, 90 all’ora. Io procedevo parallelo a loro, sulla mia Lancia Delta, lungo la strada che costeggia la Palermo-Punta Raisi, e parlavo al telefonino con quelli che stavano sulla collina di Capaci. Parlavo lentamente per far capire loro che l’andatura di Falcone era più bassa dei nostri calcoli, e dentro di me pensavo: ”Questo si salva… si salva””.

E, ancora: “Pensavo che Falcone si sarebbe salvato. Infatti le prime notizie che sentii alla radio dicevano che era solo ferito, che la dottoressa Morvillo riusciva addirittura a parlare. Invece più tardi seppi che era morto“.

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