Giovanni Falcone, biografia e carriera. Il giudice, ucciso dalla mafia il 23 maggio del 1992, è nato a Palermo il 18 maggio del 1939. Morì nella strage sull’autostrada A29, all’altezza dello svincolo per Capaci, insieme alla moglie, Francesca Morvillo, e agli agenti di scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.
Tra i primi a comprendere la struttura unitaria e verticistica di Cosa Nostra, Falcone ha creato un metodo investigativo diventato un modello in tutto il mondo. Insieme al pool antimafia, ha istruito il primo maxiprocesso a Cosa Nostra: portò alla sbarra 475 tra boss e gregari dell’organizzazione mafiosa, per un totale di 19 ergastoli e condanne a 2665 anni di carcere.
Giovanni Falcone ha dedicato la sua vita alla lotta alla mafia. Contro il mito di una “mafia invincibile, diceva: «La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà una fine».
Giovanni Falcone nasce a Palermo il 18 maggio del 1939. Terzo figlio dopo due sorelle, Anna e Maria Falcone, amava lo sport. Cresce alla Kalsa, l’antico quartiere arabo nel cuore di Palermo. Nell’ambiente familiare che assorbe i valori che lo guidano per tutta vita: la madre gli parla spesso dello zio bersagliere caduto sul Carso e il padre dell’altro zio, capitano in aviazione, morto durante un combattimento. Esempi di sacrificio e attaccamento al dovere che hanno ispirato il magistrato per la vita.
Frequenta il liceo classico Umberto I e prosegue con gli studi alla facoltà di Giurisprudenza. Quando entra all’università, sa già che la sua strada sarà la magistratura. Nel 1962, ad una festa, conosce Rita e se ne innamora. Due anni dopo, mentre sostiene il concorso per entrare in magistratura, decidono di sposarsi.
Nel 1965 ottiene il primo incarico come pretore a Lentini, dove si ferma due anni. Nel 1967 viene trasferito a Trapani, città in cui inizia la sua vera storia professionale e matura la sua cultura giuridica e politica. A Trapani il giovane Giovanni Falcone rischia per la prima volta la vita.
Mentre è in carcere come giudice di sorveglianza, a Favignana, un terrorista appartenente ai nuclei armati proletari lo prende in ostaggio puntandogli un coltello alla gola. In cambio del rilascio chiede e ottiene di poter fare delle dichiarazioni alla radio. Nel 1978 Giovanni Falcone chiede il trasferimento a Palermo e viene assegnato alla sezione fallimentare. Nel 1979 si separa dalla moglie e approda alla giustizia penale.
L’attività di Giovanni Falcone al Palazzo di Giustizia di Palermo coincide con un momento molto grave per la città, che nel settembre del 1979 aveva assistito all’uccisione del giudice Cesare Terranova. Inizia per lui l’avventura professionale e umana più importante della sua vita. Nasce un metodo investigativo che rivoluzionerà la storia della lotta a Cosa Nostra.
Il 29 luglio 1983 un’autobomba massacra Rocco Chinnici insieme alla scorta e al portiere della sua casa in via Pipitone. Le immagini di “Palermo come Beirut”, il palazzo di Chinnici devastati, fanno il giro del mondo. La città, che si sente profondamente violata e scossa, affida a Giovanni Falcone le paure e le speranze di riscatto. Il giudice diventa un simbolo.
A Palermo Falcone conosce Francesca Morvillo, anche lei magistrato, e ne innamora: si sposano nel 1986. Rimangono l’uno accanto all’altra fino alla fine: anche lei morirà nell’attentato di Capaci, unica donna magistrato in Italia vittima di un attentato mafioso.
Dopo l’assassinio di Chinnici, come successore a dirigere l’Ufficio Istruzione, viene mandato Antonino Caponnetto, che appoggia e sostiene Falcone. Nasce il “pool antimafia“, composto da Giovanni Falcone, Giuseppe Di Lello, Paolo Borsellino e Leonardo Guarnotta, la cui più grande “impresa” sarà il maxi-processo”.
All’origine della grande inchiesta c’è il rapporto di polizia redatto da Ninni Cassarà, vice questore della squadra mobile e stretto collaboratore di Falcone. Si tratta di una minuziosa ricostruzione dell’origine della guerra di mafia che porterà i corleonesi di Totò Riina ai vertici dell’organizzazione criminale.
Mentre le indagini procedono, la mafia uccide Beppe Montana, amico e braccio destro di Ninni Cassarà e, pochi giorni dopo, lo stesso Cassarà. È un momento drammatico e Falcone corre un grave pericolo.
Quando Caponnetto viene informato che dal carcere è partito l’ordine di uccidere anche Giovanni Falcone e il collega Paolo Borsellino, fa trasferire immediatamente entrambi all’Asinara. L’Asinara è un’isola della Sardegna che ospita un carcere di sicurezza. Tornano a Palermo dopo un mese.
L’8 novembre del 1985 il pool deposita l’ordinanza di rinvio a giudizio contro 475 imputati. Il 10 febbraio 1986 inizia il primo maxi-processo a Cosa Nostra. Gli imputati sono accusati di 120 omicidi, traffico di droga, estorsione e associazione mafiosa. Il 16 dicembre del 1987 il presidente della Corte d’Assise, Alfonso Giordano, legge la sentenza. I 339 imputati sono destinatari di 19 ergastoli e 2665 anni di carcere. Palermo e l’Italia scoprono che la mafia non è impunibile.
Ma la reazione al grande successo conseguito col maxiprocesso non si fa attendere. Caponnetto va in pensione. Tutti si aspettano che sia Falcone a prendere il suo posto, ma il Consiglio Superiore della Magistratura nomina alla guida dell’ufficio istruzione Antonino Meli, un magistrato di vecchia scuola che non condivide il metodo Falcone e di fatto smantella il pool.
Il 1989 è l’anno dei “veleni” al palazzo di giustizia di Palermo. Il 20 giugno del 1989 Giovanni Falcone sfugge a un agguato nella villa all’Addaura in cui trascorre l’estate. Un borsone con cinquantotto candelotti di dinamite, viene trovato per caso da un agente della scorta sulla scogliera dove solitamente faceva il bagno. La bomba viene disinnescata e l’attentato fallisce.
Dopo l’attentato, per diretto interessamento del Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, il Consiglio superiore della Magistratura nomina Falcone procuratore aggiunto di Palermo. Sebbene avversato e ostacolato, il magistrato va avanti, anche se avverte che a Palermo non può più lavorare come vorrebbe e che nascono sempre nuovi dissensi.
Accoglie l’invito del ministro di Grazia e Giustizia Claudio Martelli a ricoprire il ruolo di Direttore degli Affari Penali al Ministero dove prende servizio nel novembre del 1991. Giovanni Falcone compre quanto il suo ruolo potrebbe essere determinante nell’elaborazione di nuovi strumenti legislativi, per rendere efficace il lavoro della magistratura contro la criminalità organizzata.
Tra le azioni che promuove c’è anche la creazione di un ufficio centrale nazionale, la Direzione Nazionale Antimafia, nota come “Superprocura“. Sarebbe Falcone il naturale candidato a questo nuovo ufficio, ma tuttavia riceve l’ostilità di molti colleghi. Molti lo accusano di voler impadronirsi di uno strumento di potere da lui stesso ritagliato sulla sua persona.
In quello stesso periodo nascono le basi per la nascita di norme e leggi che regolano la gestione dei collaboratori di giustizia. Sul piano della necessità di impedire la comunicazione tra i boss in carcere e i mafiosi in libertà, prende corpo il cosiddetto “carcere duro“. Una forma di carcerazione differenziata (il 41 bis) per mafiosi e terroristi che solo dopo la morte di Falcone verrà però realizzato.
Il 23 maggio del 1992, Giovanni Falcone e la moglie Francesca Morvillo, di ritorno da Roma, atterrano a Palermo con un jet del Sisde. L’aereo dei servizi segreti è partito dall’aeroporto romano di Ciampino alle ore 16,40 e tre auto blindate li aspettano all’arrivo. Nelle auto c’è la scorta, la squadra che ha il compito di sorvegliare dopo il fallito attentato del 1989 dell’Addaura.
All’altezza dello svincolo di Capaci, dopo aver imboccato l’autostrada A29 in direzione Palermo, una tremenda esplosione disintegra il corteo di automobili. Uccide il giudice Falcone, la moglie Francesca Morvillo e agli agenti della scorta, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
La morte di Giovanni Falcone diventa subito un simbolo di rinascita e lotta alla mafia. Segna, paradossalmente, l’inizio della fine per Cosa Nostra. Palermo si risveglia e grida il suo dissenso. A 57 giorni dall’attentato, il 19 luglio del 1992, la mafia uccide Paolo Borsellino, collega e amico di una vita di Falcone.