Giuseppe di Matteo, chi era il figlio di Santino Di Matteo, rapito dalla mafia e sciolto nell’acido. Biografia: quando è nato, quanti anni aveva quando è stato rapito, chi l’ha ucciso. L’omicidio e i processi.
Giuseppe Di Matteo
Giuseppe Di Matteo nasce a Palermo il 19 gennaio del 1981. È il primogenito di Mario Santo Di Matteo, conosciuto come Santino Di Matteo. Il padre, nato in una famiglia mafiosa da diverse generazioni, durante l’infanzia del piccolo Giuseppe è vicino al clan dei Corleonesi con alcune attività. Copre anche l’inizio della latitanza di Giovanni Brusca nelle tenute di famiglia. Santino è ufficialmente allevatore, ma lavora per un certo periodo anche al mattatoio comunale (oggi vive sotto protezione dello stato con la famiglia).
La mamma di Giuseppe, Franca, proviene da una famiglia non mafiosa. Di origini contadine, aiuta la famiglia nel lavoro nei campi, prima di seguire alcuni corsi come infermiera e dattilografa. Lavora per diversi anni come infermiera all’ospedale psichiatrico di Palermo, prima di passare ad Altofonte, ma con funzioni amministrative.
La vita
L’infanzia di Giuseppe Di Matteo scorre in modo sereno. Stando alle testimonianze dei suoi cari, raccolte in gran parte dal sociologo e giornalista Rai Pino Nazio, cresce in salute ed è di carattere estroverso. Mostra di essere solidale e protettivo nei confronti del fratello più piccolo, Nicola, e degli amici più cari. Ha un forte legame con il nonno Giuseppe, anch’egli vicino a Cosa Nostra, che lo aiuta a coltivare la sua passione per i cavalli.
Il piccolo Di Matteo pratica l’equitazione e la segue con interesse anche in tv: “il suo sogno” è quello di “saltare a piazza di Siena con i colori della Nazionale” e la gara che lo appassiona di più è “la potenza”, cioè “una serie di salti a eliminazione in cui vinceva chi riusciva a saltare più in alto”. Vince alcune gare e molti premi, è molto promettente: fa sua la coppa al XXVIII Concorso Ippico Internazionale di Marsala, nel maggio del 1992.
Tra le altre passioni, quella per i videogiochi. A proposito, il fratello di Giuseppe, Nicola, ricorda: “Un giorno arrivò Giovanni Brusca, a me e mio fratello Giuseppe regalò un Nintendo, è ancora a casa da qualche parte, quanto ci abbiamo giocato nei due mesi che rimase a casa nostra con la sua compagna. Allora non sapevo che fosse un mafioso latitante, non sapevo neanche del ruolo di mio padre”.
La migliore amica di Giuseppe si chiama Mariella: insieme organizzano scherzi e partecipano ad escursioni e gare, supportandosi a vicenda.
Rapimento e omicidio di Giuseppe Di Matteo
Il rapimento di Giuseppe Di Matteo avviene il 23 novembre del 1993 a Villabate. Poco prima, a giugno, il padre Santino è stato arrestato: accusato di dieci omicidi mafiosi, ha deciso di collaborare con la giustizia e la “vendetta” di Cosa Nostra non tarda ad arrivare.
Per 779 giorni Giuseppe non può parlare con i suoi cari, non ha modo di svagarsi, non ha alcuna compagnia. I rapitori, per il timore di essere riconosciuti, evitano il più possibile i contatti diretti. Solo negli ultimi mesi, un carceriere gli procura riviste e giornali da leggere.
Nessuna cura gli viene concessa per l’alimentazione e l’igiene personale. Solo dopo quasi due anni dal rapimento gli tagliano i capelli. Non esce più all’aria aperta, a parte qualche spostamento da un nascondiglio all’altro, durante i quali è legato e incappucciato. Il corpo abituato all’attività fisica, cessa ogni movimento.
I lacci che lo tengono fermo, gli procurano piaghe. Quando, dopo due anni di sequestro, gli aguzzini lo immobilizzano per strangolarlo, uno degli esecutori materiali dell’omicidio racconta che “ormai … non aveva la reazione di un bambino, sembrava molle… … sicuramente la mancanza di libertà, il bambino diciamo era molto molle, era tenero, sembrava fatto di burro”.
Giuseppe Di Matteo trascorre la prima notte del sequestro in un nascondiglio improvvisato dentro un capannone a Lascari, dove non ha neanche un bagno a disposizione. I rapitori lo portano in diversi nascondigli nella provincia di Agrigento: “mesi di celle umide, pareti scrostate, latrine improvvisate, giacigli sporchi e puzzolenti. Mesi di corde, catene, cappucci”, scrive Alfonso Sabella, nel libro “Cacciatore di mafiosi. Le indagini, i pedinamenti, gli arresti”.
“Di giorno qualcuno, con il viso coperto dal passamontagna, gli porta da mangiare. Non lo tengono digiuno, ma gli danno sempre le stesse cose, pizza fredda e panini. Panini e pizza. Ogni tanto gli fanno una foto, un filmino o gli fanno scrivere sotto dettatura qualche biglietto (…): messaggi da mandare ai familiari”.
La morte
Tra la fine dell’estate del 1994 e l’agosto del 1995 passa da una masseria nelle Madonie a una abitazione a Castellammare del Golfo, poi a Campobello di Mazara, poi nei pressi di Erice. Dall’agosto del 1995 lo tengono nei sotterranei di un casolare in località Giambascio, presso San Giuseppe Jato. In questo caso è un ambiente sotterraneo costruito appositamente.
Nella cella c’è una porta di ferro con spioncino e si passa al sotterraneo con un montacarichi mimetizzato. Qui, ricostruiscono gli inquirenti, per ordine di Giovanni Brusca, Giuseppe di Matteo è strangolato e sciolto nell’acido, l’11 gennaio 1996.
Oggi il casolare, confiscato alla mafia, è un luogo della memoria e di valorizzazione del territorio: si chiama Giardino della Memoria. Due presidi antimafia della rete Libera, uno a Saluggia (Vercelli) e uno nella Valle dello Jato, sono dedicati a Giuseppe Di Matteo. In ricordo della sua grande passione per l’equitazione, gli sono stati dedicati due centri ippici, uno nel Parco dei Nebrodi e uno a Portella della Ginestra, entrambi su terreni confiscati alla mafia.
Giovanni Brusca dichiarerà in merito all’omicidio del piccolo Giuseppe: “Sono diventato il mostro per avere commesso questo delitto. Forse non lo sarei diventato se mi fossi limitato a uccidere il dottor Falcone (Giovanni Falcone, ndr) e sua moglie… Nelle aule dei processi… la mia ricostruzione, se possibile, è stata ancora più minuziosa, più puntigliosa più ricca di particolari che per tutti gli altri crimini… Ogni volta che in dibattimento mi hanno rivolto domande su Giuseppe Di Matteo ho perso la calma, spesso il mio autocontrollo, la mia sicurezza espositiva. Serve a qualcosa vergognarsi quando si è fatto uccidere un ragazzino che poteva essere tuo figlio? Non lo so. So, di sicuro, che per me sarebbe meglio non parlarne”.
In occasione dell’arresto di Matteo Messina Denaro, nel gennaio del 2023, Santino Di Matteo dichiara a Repubblica: “Quando ho saputo dell’arresto di Messina Denaro, il primo pensiero è stato per mio figlio Giuseppe. Tutti quelli che hanno avuto a che fare con il sequestro e la sua morte sono finiti in carcere. Mancava solo lui”.