UNA PRODUZIONE ILLUMINATA E UN CAST DI BRAVISSIMI ATTORI HANNO “DONATO” AL PUBBLICO UNA BELLA PAGINA DI TEATRO.
Siamo negli anni ’60 e in una Agrigento ammantata dalla solita normalità apparente, scoppia il caso Tandoy. Michele Guardì ha raccolto tutto ciò che era umanamente possibile raccogliere ed ha “rilasciato” un testo messo in scena in questi giorni. L’attesa ad Agrigento è stata palpabile e la prima di venerdì undici novembre, al sempre suggestivo teatro Pirandello, ha concentrato un pubblico delle grandi occasioni.
Diciamo subito che l’attesa riguardava anche questa elaborazione teatrale di un fatto che, proprio per il suo intreccio e la sua complessità, poteva presentare una qualche difficoltà all’autore.
Tutto si scioglie, come d’uopo, all’apertura del sipario. Si comincia a snodare una storia che viene tirata fuori dal protagonista – autore – puparo che fa rivivere sulla scena fatti e personaggi che a mano a mano escono dalle carte processuali. I personaggi prendono anima e si confrontano con l’autore che da puparo diventa anch’esso “pupo” della storia. Tutto il testo è scritto con la ormai solita maestria di Michele Guardì che proprio in questo testo crea una mirabile sintesi delle sue doti. I tempi e le battute così come i brevi monologhi risentono dei tempi televisivi e il pubblico rimane piacevolmente trascinato dall’intreccio della storia senza rendersi conto del tempo che passa. Michele Guardì lo “vedi” proprio in mezzo alla scena a spostare gli attori ad organizzare entrate ed uscite ad impreziosire il dialogo con “chicche” di leggerezza.
Pirandello c’è. Proprio nella scena collocato quasi come edicola votiva, come musa ispiratrice. Michele Guardì è stato grande anche in questo. Le sue colte e puntuali citazioni all’opera di Luigi Pirandello non sono uno “scopiazzamento” di mestiere ma rappresentano quello che l’autore è. Chi nasce in questa terra, la ama e la “vive” diventa un impasto di culture, tradizioni, luoghi che nella loro unicità forniscono alimento principe. Una sorta di pappa reale. Michele Guardì si è nutrito dell’amore per Agrigento, è rimasto legato alla sua terra e non ha mai perso l’occasione per manifestare questo suo sentimento.
Ecco quindi che sulla scena sembrano spuntare tasselli di Memoria che riportano lo spettatore al Ciampa o alla signora Frola o a “L’uomo del fiore in bocca” o a mille altre “porzioni” Pirandelliane che fanno parte integrante dell’uomo e sono proprio “impastate” nella storia del Caso Tandoy.
La produzione di Francesco e Virginia Bellomo, quali “ciliegine” sulla torta, ha permesso di creare un cast che risponde in maniera perfetta alle esigenze di copione.
Gianluca Guidi è l’autore che crea la storia, parla con i personaggi e diventa anch’esso personaggio “alla pari”. La sua interpretazione è, come ci ha abituato da tempo, perfetta. La sua recitazione è da assoluto manuale negli spazi e nelle pause che riescono a evidenziare la piacevolezza “da carpe diem” del copione.
Il procuratore trova in Giuseppe Manfridi una restituzione iconica perfetta che si lega alla sua forza interpretativa saggia e allo stesso tempo incalzante. Gaetano Aronica nel ruolo del primario “plasma” su di se un personaggio che, nei suoi “inserti” in scena, diventa protagonista del momento, catturando l’attenzione magneticamente e sembra proprio ci fosse un “occhio di bue” puntato sul palco ad evidenziare ogni suo momento.
Roberto M. Iannone ha interpretato il commissario Tandoy che, riesumato dagli eventi narrativi, ha regalato al pubblico in sala momenti di vera arte teatrale. Noemi Esposito è molto brava ad interpretare il ruolo di moglie dello scrittore che, nelle sue apparizioni molto coinvolgenti, riporta lo spettatore alla pragmaticità del vivere quotidiano.
L’emozionata agrigentina Marcella Lattuca riesce a “donare” al suo personaggio l’anima sofferta di un amore interno contrastante e non compreso. Recita il ruolo con passione ma con un taglio molto rispettoso del contesto scenico. Noemi Esposito diventa mirabilmente sulla scena la donna piena di vita, di bellezza e di amore nonostante i pregiudizi e le sentenze popolari sommarie. Bravi anche Marco Landola, impeccabile segretario e Antonio Rampino nel ruolo del “claudicante” killer con la coppola.
Bello e suggestivo il finale affidato a tutti gli attori che, uno alla volta, da “bravi” pupi, raccontano la “propria conclusione”. Sembrano muoversi come “veri” pupi siciliani nel loro “piccolo” teatrino. Nella scena come nella vita.
Alla fine vogliamo concludere con due speranze e una certezza. La prima speranza è che questa realizzazione abbia il successo che merita. La seconda è che Michele Guardì riesca a ritagliare il tempo per donarci altre opere teatrali che possano essere da “guida” e incoraggiamento per i talentuosi autori di teatro. La certezza è quella di avere assistito a una bella pagina di teatro “tradizionalmente” moderno. Il teatro che piace al pubblico.
Calogero La Vecchia