Il clamoroso "imbroglio" dell’abate Vella: la storia si svolge tra il 1782 ed il 1795. Un oscuro ed intraprendente frate originario di Malta, un tale Giuseppe Vella, arrivato a Palermo nel 1780 avendo ereditato da una zia un legato perpetuo di messe quotidiane che però non gli consentiva di condurre una vita agiata, con un "colpo di genio", impiantò un grande raggiro sfruttando la sua sommaria conoscenza dell’arabo acquisita nel suo paese di origine, dove era in uso un dialetto misto di arabo e maghrebino scritto in caratteri latini. E’ importante sottolineare che a Palermo nessuno conosceva l’arabo poiché i Normanni per conto del papato, e la forzata riconversione al cristianesimo, avevano cancellato gran parte della memoria storica della dominazione araba. Un giorno capitò per caso un ambasciatore marocchino sbarcato in Sicilia a seguito di un naufragio, che costretto a rimanere a Palermo il tempo necessario per la ripresa del viaggio, non parlando l’italiano, affidò l’incarico ufficiale di interprete al frate Giuseppe Vella, unico conoscitore della lingua araba in tutta la città. Fu così che Giuseppe Vella accompagnò l’ambasciatore nei salotti più importanti e nei circoli culturali e politici di Palermo, dove si conquistò grazie alla sua millantata conoscenza dell’arabo, il favore di Monsignor Airoldi e di personalità del mondo dell’arte e della cultura. In una delle visite organizzate per l’ambasciatore, e più precisamente quella effettuata al monastero di San Martino delle Scale, dove erano custoditi vari codici arabi, l’ambasciatore fornì all’intraprendente e spiantato frate un’idea per finalmente sbarcare il lunario. Il Vella, resosi conto che nessuno capiva l’arabo, mentre fintamente traduceva le parole del dignitario inventandole di sana pianta, fece credere che quei codici fossero degli importanti documenti e si impegnò successivamente a tradurli egli stesso. Dopo la partenza dell’ambasciatore marocchino, “rivelò” che uno dei manoscritti arabi che in realtà contiene una vita di Maometto, era un fondamentale testo storico-politico: “Il consiglio di Sicilia”, un preziosissimo documento della dominazione musulmana sull’isola. Fu così che iniziò il raggiro di Giuseppe Vella che creò dal nulla l’intera storia dei musulmani in Sicilia. Dal codice tradotto dal Vella si evinceva che non erano stati i Normanni a fondare la storia moderna della Sicilia ma gli Arabi, ma la cosa più importante riguardava il fatto che tutto ciò rendeva illegittimi i tentativi di riforma dei Vicerè contro i privilegi dei feudatari siciliani. Riesce difficile credere che il Vella abbia architettato tutto da solo, è più facile presumere che l’aristocrazia siciliana appoggiasse il frate coprendolo di benefeci, tramando contro l’eventualità di dover rinunciare ai sopracitati privilegi. Il frate venne promosso abate, per lui fu creata addirittura una cattedra di arabo all’università, e nel 1792 il suo “Codice diplomatico di Sicilia sotto il governo degli Arabi”, venne pubblicato dalle stamperie reali e tradotto in tedesco e quindi divulgato in tutta Europa. Successivamente l’abate "rivelò" di aver trovato un altro codice “Il Consiglio D’Egitto” che aveva lo scopo di attirare la benevolenza della corona, ma questo fu un passo falso poiché tra i siciliani cominciò a serpeggiare il dubbio soprattutto dello storiografo Rosario Gregorio, che Vella fosse un impostore. Fu così che il Gregorio intraprese lo studio dell’arabo per meglio rendersi conto dell’autenticità dei Codici tradotti dal Vella. La pubblicità sui codici fu troppa ed i dubbi sulla loro autenticità si moltiplicarono, fu pertanto istituita una inchiesta ufficiale e fu mandato in Sicilia Hager, docente di arabo a Vienna, per poterli esaminare, ed il Vella ormai alle strette finse un furto che diede a molti la certezza del raggiro. L’abate Giuseppe Vella alla fine scoperto, venne arrestato e condannato a 15 anni che scontò nel suo casino di campagna a Mezzomonreale, dove morì nel maggio del 1815.