Un uomo di poco tatto; semplice, diretto, semplificatore. Sono queste le tre motivazioni che hanno stabilito perché Matteo Renzi piace, e sono forse anche i tre atteggiamenti che he messo in atto quando pensava alla sua “Buona Scuola”.
La polemica impazza ormai da qualche giorno sulle pagine in pixel de “L’Espresso” e di conseguenza, sui social, dove l’articolo “Ecco perché il liceo classico non deve morire” è stato condiviso ben 28mila volte solo su Facebook, soltanto in uno spazio di 4 giorni.
Un record, per un articolo che più che uno scoop è un’inchiesta, quelle per cui il noto settimanale è conosciuto e apprezzato da sempre. Qui, cercheremo di fare un po’ il punto: cos’è successo, quali sono gli attori coinvolti e qual è il problema.
Il problema sembra essere nato dalle 120 pagine di riforma che Renzi ha tirato fuori dal cilindro per ‘ricreare’ la scuola italiana. Assunzione dei docenti, graduatorie e carriera a parte, ciò che più ha scatenato le polemiche è la voglia di istruire ‘all’americana’, ovvero creando un corpus di materie fondamentali e uguali per tutti, da affiancare ad una serie di scelte opzionali che arrivino infine, a portare gli studenti a creare ciò che apprendono: un approccio dunque, più pratico alla didattica.
Ma non era quello di cui ci eravamo sempre lamentati? Che mancano i computer e i laboratori, che nel nostro Paese c’è tanta teoria ma manca la pratica? I sostenitori ‘del liceo classico’, o per meglio dire, della cultura umanistica, sostengono che apprendere le lingue morte induca al ragionamento, faciliti cioè la comprensione dei problemi.
Niente da obiettare, il sistema messo appunto dalla scuola americana (e danese, e inglese e francese), si fonda sulla creazione di ‘paper’, ovvero di resoconti scritti che molto semplicemente portino lo studente ad elaborare le fonti, prontamente servite dai professori, secondo un proprio ragionamento personale.
Un sistema che indubbiamente educa l’individuo a sviluppare la propria personalità, un aspetto che la scuola italiana, con tutto il suo offrire, non ha chiaramente né lo spazio né il tempo per promuovere; allo stesso modo però, una cultura fatta di spizzichi e bocconi, non può produrre adulti consapevoli, persone cioè che siano in grado di vedere le interconnessioni culturali tra i diversi mondi che li circondano. E non è proprio questo il vero punto alla base dei ragionamenti?
Oggi, soltanto il 6% degli studenti italiani sceglie il liceo classico, eppure per lungo tempo è stata proprio questa la fabbrica dell’élite intellettuale del nostro Paese, oltre che di orde di insegnanti, e persino di alcuni dei professionisti, noti in Italia e anche all’estero, delle materie non umanistiche, quali scienziati, economisti o imprenditori di livello mondiale.
Il dibattito continua: sulla pagina Facebook della testata giornalistica diretta da Luigi Vicinanza, si susseguono ex amatori del liceo classico e nuove leve; tutti concordano sul fatto che “il liceo classico formi le menti del futuro”, e che di fatto sia anche in grado di sostenere lo studio delle materie scientifiche quando si va ad affrontare l’università.
Autore | Enrica Bartalotta