di Nando Cimino
Ebbene si; in Sicilia è successo anche questo. Certo che a leggere alcune antiche storie della nostra terra, e Giuseppe Pitrè con le sue opere ce ne riferisce invero tante, non si può non nutrire una qualche perplessità sul modo di intendere la religiosità da parte di noi meridionali; religiosità spesso ed ancora oggi in precario equilibrio tra fede, superstizioni, fatalismo e magie. Ecco cosa riportano per esempio taluni vecchi racconti che descrivono testualmente ciò che successe qualche secolo fa a Licata, in provincia di Agrigento, al povero Sant’Angelo dopo essere stato inutilmente invocato per fare arrivare la pioggia.
“. . . .A Licata, S. Angelo, il santo patrono, se la passò anche peggio perché fu lasciato senza vesti del tutto; ingiuriato, incatenato, minacciato di finire affogato o appeso a una forca. “O la pioggia o la corda!”, gli urlava contro la gente furibonda, agitandogli i pugni in faccia “. . . .
Come dire: “Si un chiovi t’affucamu”! Ed a pronunciare queste frasi blasfeme erano, pensate un pò, soprattutto contadini e pastori che della religiosità e della fede hanno sempre fatto uno dei loro principali valori di riferimento. Provate ad immaginare cosa avrà pensato quel povero ed incolpevole Santo alla mercè di sì cari ed affezionati devoti !