La festa di sant’Agata è la più importante festa religiosa della città di Catania. Si svolge tutti gli anni dal 3 al 5 febbraio e il 17 agosto, in onore della Santa, che è anche Patrona della città.
Le date del mese di febbraio sono quelle che coincidono con il martirio, mentre la data di agosto ricorda il ritorno a Catania delle sue spoglie, dopo che queste erano state trafugate e portate a Costantinopoli dal generale bizantino Giorgio Maniace.
Dal 2002, la Festa di Sant’Agata risulta bene etno-antropologico Patrimonio dell’Umanità UNESCO.
Esponente di una nobile famiglia catanese, sin da giovane Agata consacrò la sua vita alla religione cristiana. Venne notata dal governatore romano Quinziano che però decise di volerla per sé; al suo rifiuto, il console la fece martirizzare e mettere a morte, il pomeriggio del 5 febbraio 251. Da quel giorno, si sviluppò a Catania il culto della Santa, che si diffuse anche al di fuori dei confini della Sicilia.
È molto difficile stabilire quale fu l’anno di inizio delle celebrazioni. Secondo alcune testimonianze, ancora prima della nascita di Agata, veniva celebrata una festa pagana durante la quale un simulacro di una Vergine veniva portato in processione per le vie della città. Un’altra tradizione, riportata da Apuleio ne “Le metamorfosi”, dichiara che la festa della dea Iside, nella città greca di Corinto, avrebbe molti punti di contatto con la festa insediatasi in origine a Catania.
Quel che si sa per certo, è che i primi festeggiamenti in onore di Sant’Agata, avvennero spontaneamente il 17 agosto 1126, quando le spoglie di Sant’Ajtuzza, trafugate nel 1040, furono riportate in Patria da due soldati, Gilberto e Goselino. Sparsasi la voce, nel corso della notte, i cittadini si riversarono nelle strade della città per ringraziare Dio di aver fatto tornare, dopo 86 anni, le spoglie dell’amata martire.
I festeggiamenti erano per lo più di natura liturgica, e si svolgevano all’interno della Matrice. Ciò sarebbe stato dimostrato, in maniera indiretta, dal terremoto del 4 febbraio 1169, quando la Cattedrale di Catania, e con essa l’intera città, venne rasa al suolo seppellendo sotto le macerie il popolo di fedeli che si trovava all’interno. In quella occasione, secondo alcune fonti del tempo, persero la vita oltre 80 monaci e alcune migliaia di fedeli.
Ufficialmente fu il 1376, anno di costruzione della vara, a decretare l’inizio delle celebrazioni con la processione per le vie della città. Dal 1209 al 1375, venne portato in processione anche il velo della Santa. Il fercolo attuale, in argento su telaio in legno, fu ricostruito nel 1946, dopo che quello originario fu seriamente danneggiato da un intenso bombardamento dell’aviazione civile britannica.
Alla festa puramente religiosa si affiancò subito una festa più popolare, voluta dal Senato della città e dalla stessa cittadinanza. Pertanto, in abbinamento alla processione della vara, sono state successivamente organizzate, per i quartieri della città, spettacoli di intrattenimento per i fedeli, i turisti e i numerosi curiosi che accorrevano da ogni parte della Sicilia.
Fino al 1692, la festa si svolgeva solo il 4 febbraio. Dal 1712, la festa assunse un’importanza maggiore e venne distribuita su due giornate, che compresero anche il 5 di febbraio. Dopo il terremoto del 1693, che rase al suolo la città, Catania venne ricostruita su una pianta ortogonale più accessibile, e venne oltretutto espansa, coinvolgendo ulteriori quartieri che non potevano essere toccati da una processione di un solo giorno. La festa subì delle interruzioni negli anni successivi a due eventi drammatici che flagellarono Catania: l’eruzione del 1669, che ricoprì di lava gran parte della città, e il terremoto del Val di Noto di 24 anni più tardi.
La festa oggi si articola in quattro giornate: la giornata del 3 febbraio si apre con la processione per l’offerta della cera, a cui sono presenti, oltre che cittadini e turisti, anche le più alte cariche religiose e civili della città. La processione si chiude la sera, in Piazza Duomo, con il caratteristico spettacolo pirotecnico dei fuochi.
La vera festa religiosa ha però inizio la mattina del 4, con la messa dell’Aurora, che inaugura l’inizio delle processioni del busto-reliquiario di Sant’Agata; in questa occasione, il busto viene portato fuori dalla cappella omonima che lo ha custodito, e ‘consegnato’ ai devoti che lo porteranno in processione lungo un percorso esterno alla città, che si concluderà con il rientro nella Basilica Cattedrale in tarda notte, e fino alle prime luci dell’alba.
Nella mattina del 5 febbraio, presso la Basilica Cattedrale, ha luogo la messa del Pontificale presieduta dalle più alte cariche religiose locali. Durante tutta la giornata il busto-reliquiario di Sant’Agata rimane esposto, e infine, nel pomeriggio, viene nuovamente affidato ai devoti per un’ultima processione lungo un percorso interno alla città, che si conclude nella tarda mattinata del giorno 6.
In tutte le strade principali del centro storico di Catania vengono poste installazioni artistiche luminose, il cui motivo ornamentale cambia ogni anno, ma il cui effetto è sempre molto coinvolgente e suggestivo.
Il culmine si raggiunge sulla sommità di via Di Sangiuliano, dove viene realizzato un enorme pannello luccicante, largo quanto tutta la strada, che raffigura una scena della vita di Sant’Agata, diversa ogni anno.
Molto antica è la tradizione dei cerei o cannalori, probabilmente risalente già al XV secolo. All’epoca,i cannelori erano circa 30 carri allegorici che cambiavano foggia ogni anno. Oggi sono dodici, e rappresentano le corporazioni delle arti e dei mestieri della città. Si tratta di grosse costruzioni in legno riccamente scolpite e realizzate generalmente in stile barocco siciliano, con al centro un grosso cero. Questi imponenti ceri dal peso di 400-900 chili, vengono portati a spalla da un gruppo costituito da 4-12 uomini, che le fa avanzare con un’andatura caracollante tipica, detta ‘a ‘nnacata.
Le cannalore, oltre a precedere la processione di Sant’Agata dei giorni 4 e 5, iniziano a girare per la città già dieci giorni prima, toccando le botteghe dei soci della corporazione a cui appartengono, sotto l’allegra scorta di una banda musicale. Le candelore occupano una posizione ben precisa all’interno dei festeggiamenti, rimasta invariata nel corso degli anni.
Il fercolo di Sant’Agata o ‘vara’ (in siciliano), è un tempietto in argento che ricopre una struttura lignea riccamente elaborata; su di esso viene fatto trasportare il busto-reliquiario in argento della Santa. Prima del 1379, la vara era in legno dorato molto pregiato. Ricostruito nel 1518, in puro stile Rinascimentale, si presentava finemente cesellato, e ornato, sul tetto di copertura, da dodici statue raffiguranti gli Apostoli. Di forma rettangolare, era costituito da sei colonne in stile corinzio che sorreggevano la cupola, anch’essa rettangolare, e opera dall’artista orafo Vincenzo Archifel, come pure il resto della struttura. Ricostruito dopo i pesanti bombardamenti della Seconda Guerra, è stato convertito in argento massiccio, e si muove su quattro ruote trainate da due cordoni, al cui capo sono collegate quattro maniglie a disposizione dei cittadini vestiti con il caratteristico saccu.
Dall’addobbo floreale della vara si può riconoscere se si è alla processione del giorno 4 o a quella del giorno 5. Infatti, i fiori che addobbano il fercolo il giorno 4, sono garofani di colore rosa, mentre il 5, giorno del martirio, i garofani sono di colore bianco.
Lo scrigno che contiene le reliquie di Sant’Agata è una cassa in argento, realizzata intorno alla fine del XV secolo in stile gotico, dall’artista catanese Angelo Novara. Il coperchio, anch’esso in argento, fu realizzato dallo stesso artista che costruì la vara. Riccamente cesellato da immagini della vita di Sant’Agata, contiene le spoglie della Santa, tra cui la famosa mammella sfregiata e il velo, racchiuse in diversi reliquiari di epoche differenti.
Il busto della Santa, completamente in argento, è stato realizzato nel 1376, e contiene le reliquie tra le più importanti della Santa, come la testa e gli organi interni. Infatti nella testa, ricoperta da una corona donata dal re inglese Riccardo Cuor di Leone, che passò a Catania di ritorno da una Crociata, è stato inserito il teschio della Santa catanese, mentre nel busto vero e proprio è inserita la cassa toracica. L’opera fu realizzata dall’artista Giovanni di Bartolo, su incarico del Vescovo di Catania Marziale, ed è ricoperto da oltre 300 gioielli ed ex voto, tra cui svettano i due grandi angeli in argento dorato posti ai lati, una collana del XV secolo di smeraldi, donata dal popolo di Catania (anche se molti ritengono fosse un dono del viceré Ferdinando De Acuna); una grande croce lavorata del XVI secolo, il collare della Legion d’Onore francese appartenuto al musicista Vincenzo Bellini; croci pettorali dei Vescovi di Catania; e un anello della regina Margherita, che ella stessa donò alla chiesa nel 1881.
I devoti che trainano il fercolo, vestono un saio di cotone bianco detto saccu, simile a quello di cui parlò Apuleio, adottato nei festeggiamenti greci in onore di Iside; l’abbigliamento sacro si completa inoltre di un copricapo di velluto nero detto scuzzetta, un cordone monastico bianco da legare intorno alla vita, dei guanti bianchi e un fazzoletto, bianco, che viene agitato al grido di «Tutti devoti tutti, cittadini viva sant’Aita».
L’origine e il significato di questo saio bianco è stata a lungo molto dibattuta, e lo è ancora oggi. Si pensa che il saccu dovesse rappresentare la veste da notte, visto che la notizia del ritorno delle spoglie di Sant’Agata, si ebbe nella notte del 1126. Ma questa versione non sembrerebbe tenere conto del fatto che l’invenzione della camicia da notte risulta essere di molto successiva al rientro in città delle reliquie; altri sostengono invece che il saio derivi dal culto di Cerere presente ab origine.
Probabilmente, nessuna di queste ipotesi è vera; sembrerebbe infatti possibile che alcuni cronisti del XVI secolo avessero in mano la soluzione: essi parlano di leggere vesti bianche portate dai fedeli che si muovevano scalzi per le vie del Paese, in segno di devozione e di penitenza solidale con il martirio della Santa.
La festa del 17 agosto è forse la più antica, in quanto si rifà ai festeggiamenti spontanei che si verificarono nella notte del 17 agosto dell’anno 1126, quando le spoglie della Santa martire rientrarono a Catania da Costantinopoli, per opera dei due soldati Gisliberto e Goselmo.
La festa si svolge in maniera ridotta rispetto ai grandiosi festeggiamenti di febbraio, ma attira comunque nel centro storico migliaia di fedeli, turisti e curiosi. Oltre alla messa liturgica, nel tardo pomeriggio si svolge una breve processione con lo scrigno contenente le reliquie, e il mezzobusto reliquiario, nei dintorni della Cattedrale, in Via Dusmet, procedendo poi per Piazza San Placido. Le reliquie fanno poi ritorno presso la chiesa, passando per Via Vittorio Emanuele, sotto l’accoglienza di straordinari giochi pirotecnici allestiti presso il Porto di Catania, sul tetto della chiesa di San Placido.
Numerose sono poi le manifestazioni satellite che sono state attivate e sono ancora attive, per le vie della città; eventi di origine moderna a scopo di intrattenimento. La sera del 3 di febbraio si svolge, in piazza del Duomo, un concerto di canti dedicati a Sant’Agata, eseguiti da cori cittadini. Alla fine del concerto ha luogo uno spettacolo che associa fuochi d’artificio e musica, che non ha eguali, sia per durata che per bellezza; a questo proposito è nata l’espressione catanese: «mancu ‘a sira ô tri» («nemmeno la sera del tre», per indicare un evento di grandiosa lunghezza).
Il pomeriggio del 3 febbraio, nelle strade del centro ha luogo il Trofeo Sant’Agata, un giro podistico di interesse internazionale, organizzato sulla distanza di 10.000 metri. La gara ha spesso visto la nascita di atleti che avrebbero poi vinto grandi manifestazioni internazionali.
In passato, si disputavano presso Catania altre gare sportive, legate anche al gioco del calcio. Ne fu protagonista l’Unione Sportiva Catanese, che negli anni Venti organizzava ogni anno una partita in cui veniva messo in palio il Trofeo.
Di natura altrettanto pagana, è La Fiera di Sant’Agata, risalente a molti secoli prima dei festeggiamenti liturgici agatini. Era un grande mercato che si rifaceva alle tradizioni delle fiere medioevali, quando re e principi concedevano l’esenzione da dazi e gabelle, indulti ai condannati, e giochi non consentiti nel corso dell’anno. Oggi è un grande mercato all’aperto che rimane a disposizione dei fedeli e dei turisti per ben 8 giorni e fino a notte fonda. Nel corso degli anni ha cambiato aspetto e sede (di solito si svolgeva al Giardino Bellini), mantenendo comunque il suo aspetto di allegro punto di incontro per grandi e piccini.
Negli anni Sessanta, nel piazzale centrale del Giardino, si teneva il famoso concerto ad opera di un complesso bandistico, ad opera di tre grandi bande militari scelte, che eseguiva musiche operistiche e marce.
Insieme ai famosa calia e simenza, presente in ogni festa a Catania, durante i festeggiamenti in onore della Santa martire, vengono realizzati alcuni dolciumi che hanno un chiaro riferimento al seno di Sant’Agata: i cassateddi, (per questo detti anche minnuzzi ri sant’Àjta), dolci di pan di Spagna imbevuti nel rosolio e ripieni di ricotta, gocce di cioccolato e frutta candita; a completare l’iconografia culinaria: una zuccherosa glassa bianca e la ciliegia candita. Insieme alle cassatelle, si presentano le alivetti (le olivette di Sant’Agata). Si tratta di dolci in forma di oliva a base di pasta di mandorle (a volte ricoperta anche di cioccolata), che fanno riferimento ad una leggenda secondo cui la Vergine venne nascosta dai soldati di Quinziano, che la cercavano per incarcerarla, da un albero di ulivo, apparso improvvisamente sulla sua strada per la fuga.