La credenza che la Sicilia sia stata la terra dei Ciclopi sarebbe dovuta al ritrovamento, da parte degli antichi, dei resti fossili di elefanti nani: il cranio di questi animali, ben più grande di quello umano, provvisto al centro di un foro nasale o meglio proboscidale, sarebbe stato scambiato per una cavità orbitale e attribuito pertanto ad esseri giganteschi con un solo occhio in fronte: un esemplare di questo genere, classificato come elephas mnaidriensis, è custodito nel museo dell’Istituto di geologia di Palermo. Non bisogna dimenticare del resto che l’elefante è il simbolo ufficiale della città di Catania, e questo dato si ricollega con tutta probabilità al fatto storico che la Sicilia, nel paleolitico superiore, possedeva tra la sua fauna originaria anche l'elefante. Infine è probabile che fenomeni naturali, come quelli eruttivi e sismici, propri dei crateri vulcanici, presenti numerosi nell’isola, siano stati visti come l’effetto delle attività tipiche di questi esseri giganteschi.
Comunque siano andate le cose, sappiamo in ogni caso che già presso Esiodo (Theog., 139 segg.) i Ciclopi, figli della Terra, ed in numero di tre (Bronte il “Tonante”; Sterope, il “Lampo”; Arge, lo”Scintillante” ) fornivano a Zeus il tuono e il lampo: la stessa prerogativa di provetti lavoratori dei metalli venne loro riconosciuta nella tradizione successiva (vedi infra Callimaco, Inno ad Artemide, ove la dea ricorre alla loro opera per ottenere l’arco e le frecce).
Nulla di più semplice quindi che pensare all’eruzione vulcanica come all’effetto della lavorazione in una gigantesca officina di fabbri divini: così gli antichi collocarono il paese dei Ciclopi ai piedi dell’Etna (dal greco Katàne = Catania), il maestoso vulcano tutt’ora attivo che domina la Sicilia orientale.
Melania Millesi