Nel patrimonio assai esiguo vantato dall’architettura funeraria a carattere monumentale nella Sicilia antica, un posto di rilievo va dato all’edificio turriforme di età romana che si conserva, in cattivo stato, ma con caratteri formali e costruttivi di notevole interesse, a poca distanza dall’abitato di Fiumefreddo.
Negata in buona parte alla vista, la cosiddetta Torre Rossa si erge in un terreno in lieve declivio piantato ad agrumeto, a ovest dell’abitato, prossimo all’omonimo e periferico quartiere che si dispone a ridosso della Statale 120. La costruzione ha forma di un blocco parallelepipedo la cui regolarità è assai compromessa da una secolare opera demolitoria che ha soprattutto corroso la parte inferiore, e deriva il suo nome dall’interessante parametro murario in mattoni di terracotta, la cui patina è ancora evidente malgrado i diversi depositi terrosi, le diffuse incrostazioni, l’azione degli agenti meteorici.
Attualmente la torre affiora da un lato (quello che guarda a est verso la costa) per un’altezza di circa otto metri; trovandosi esattamente allineata con un basso muretto di terrazzamento, sul quale inoltre è ospitato un moderno canale per la distribuzione dell’acqua d’irrigazione, risulta ulteriormente interrata sugli altri tre fronti di circa un metro. Sul fronte a valle, il notevole asporto distruttivo di muratura risulta compensato dalla tarda costruzione (XVII-XVIII secolo) di un muro di grossa sezione che ha avuto come scopo la chiusura della camera interna per usi contadini e la necessaria opera di consolidamento. In questo si apre un varco, in passato provvisto d’infisso ligneo, da cui si può ben vedere in basso il vano semiipogeo. Il prospetto Nord risulta alquanto regolare, con la maggior parte del paramento ben conservata; in basso, una trincea di scavo rivela l’esistenza di due gradini che ne profilano la base e che valgono dunque a stabilire l’antico piano di posa. I prospetti affacciati a oriente e mezzogiorno sono quelli che hanno maggiormente sofferto danni. Nel primo un muretto contadino chiude in parte la vasta breccia aperta sul sacello funerario, mentre la zona di coronamento rivela un crollo o, forse, i segni del tentativo di abbattimento. L’angolo e il conseguente quarto lato si dimostrano ampiamente disfatti avendo perso buona parte della sezione più esterna che chiudeva parte della rampa di scale ottenuta nello spessore murario. La tessitura dei mattoni che riveste l’esterno presenta un preciso, elegante ricorso di elementi in cotto alternati per spessore; nello zoccolo di base, notevolmente guastato, si osservano alcuni tratti dell’accurata esecuzione di modanature attraverso l’impiego di blocchi smussati, la particolare disposizione dei lembi rialzati di embrici, la giacitura di sottili mattoni variamente sporgenti.Torrerossa3
L’ambiente coperto che si trova interiormente è un vano pressoché quadrato (m. 2.65 x 2.70), con pavimento invaso da infiltrazioni e da crolli; su tre pareti si aprono coppie di nicchie rettangolari terminanti ad arco, in bella struttura a vista realizzata con precisi ricorsi di mattoni anche se notevolmente danneggiata e lacunosa. Tra le nicchie (columbaria), un tempo utilizzate per ospitare vasi o urne funerarie, si osservano piccoli incavi “a unghia” per l’alloggiamento di lucerne a olio. Poco più in alto si ha traccia di una cornice ottenuta col progressivo aggetto di laterizi sottili, e su di essa s’imposta la botta a volte, già anch’essa rivestita nell’intradosso con mattoni. La quarta parete non presenta incavi funerari, ma l’eloquente traccia di una scala di accesso; questa sale verso sinistra. Da qui una ripida rampa, dai gradini fortemente erosi o danneggiati, risale parallela al lato meridionale, coperta da una ragguardevole successione di voltine scalari; quindi dal pianerottolo terminale posto in corrispondenza dell’angolo, piega – risultando ormai a cielo aperto – fino a raggiungere il piano sommitale. In quest’ultimo segmento, meglio conservato, i gradini mostrano alzate formate da doppie file alternate di mattoni grossi e sottili, e pedate costituite da uno spessore di regolari blocchetti in arenaria. Dal “terrazzo”, coperto da uno spessore terroso che permette a piccoli cespugli di vegetare, e in cui sono scarsi avanzi di muri diroccati, si percepisce la considerevole altezza dell’edificio.
Torrerossa1NOTIZIE STORICHE
Delle origini e delle vicende della Torre Rossa, già poco familiare agli stessi ambienti scientifici, non si hanno documenti significativi. Per alcuni studiosi sarebbe da ritenere quella menzionata nel documento di età normanna relativo alla concessione all’abate Ansgerio della “vicina” chiesa di S. Giovanni da parte del vescovo Giacomo Mannuges (20 maggio 1103), documento confermato dal vescovo Roberto di Messina nel 1106. Non è comunque certo che si tratti del nostro edificio (per quanto nei pressi è stato individuato l’impianto di un antico edificio sacro conosciuto come ‘a crisiazza), anche per la testimonianza di altri scrittori, i quali per l’antica chiesa del Santo Precursore indicano un diverso sito, più vicino alla foce del fiume, ipotesi che meglio giustifica così la successiva assunzione del titolo da parte della più tarda chiesetta esistente presso il noto “Castello degli Schiavi”.
In età feudale se ne riscontra soltanto il riferimento toponomastico; Torrerossa costituisce la denominazione di un feudo e di un piccolo nucleo abitato variamente concessi ai diversi casati nobiliari insieme ad altri possedimenti.
Solo nel XVIII secolo si ha espressa menzione dell’edificio; Anton Giulio Filoteo degli Omodei la ricorda riferendo del “Fiume di Catanzaro, ovvero di Torrerossa per un’antica torre di mattoni, che vi è, ma rovinata”. Jean Houel che trovandosi a Fiumefreddo nel suo secondo viaggio nell’Isola (1776-79) per misurare l’altezza dell’Etna, visitò il monumento, rilevandolo e restituendoci una notevole “veduta prospettiva”, accompagnata da una ricca descrizione e personali considerazioni che si offrono quale preziosa, insostituibile testimonianza. Certo di trovarsi “nel luogo che fu altrimenti occupato dall’antica Naxos” egli ebbe modo di vedere intorno resti di edifici, muri, acquedotti e tombe sparse nella campagna “simili a piccole case voltate”. Egli disegno tra queste unicamente la Torre Rossa “è perché la struttura singolare mi è parso meritare questa attenzione”.
Lo studioso francese scrive: ”La maggior parte degli abitanti di questo luogo, molto mal popolato, si sono insediati sulle rovine degli antichi edifici. La tomba… è un’opera romana di bella esecuzione. E’ rappresentata qui molto degradata; sono i locali che ne hanno tolto i mattoni per frantumarli e farne della malta. E’ così che hanno trattato la maggior parte dei monumenti antichi”. Descrivendola puntualmente, ancora annota: “ Questa tomba sembra essere stata situata nella corte o nei giardini di un antico palazzo, di cui i resti dei muri sussistono ancora nei dintorni”.
La testimonianza dello studioso settecentesco, suffragata da recenti scavi, che hanno portato alla luce ambienti mosaicati di una villa romana, mettono giustamente in relazione la tomba con la ricca residenza suburbana di un latifondista, forse un cittadino di Tauromenium. La successiva utilizzazione quale torre ben si giustifica per lo stato di insicurezza del periodo medievale e dei secoli in cui la Sicilia fu sottoposta alla scorreria dei barbareschi, facendo declinare nel tempo la comprensione dell’originaria funzione.
Il tipo e la struttura del mausoleo, configurano un modello in cui non si conoscono eguali nella regione, anche se documenta in tutto l’Impero, dall’Italia, alla penisola iberica, all’Africa settentrionale e al Medio Oriente. La tecnica di costruzione, che si trova ampiamente diffusa nella zona nord-orientale dell’Isola tra il II e il III secolo (vedi a Taormina il Teatro antico, l’Odeon e la cosiddetta Naumachia, a Centuripe il grande ninfeo di “moda anatolica”, a Catania il relativo impiego del laterizio in alcuni edifici pubblici) si propone quale elemento che permette di datare la torre funeraria alla fine del II secolo d.C., insieme al fatto che dopo tale periodo fu progressivamente abbandonata la pratica della cremazione. La perizia e l’impiego della tecnica della muratura a sacco (emplecton) con paramenti ad opus testaceum, che implica l’esistenza di grandi fornaci per la copiosa domanda e produzione, fa pensare che al tempo esistessero nella zona maestranze di provata esperienza e cantieri ben attrezzati, capaci di una specializzata organizzazione del lavoro per l’edificazione di notevoli strutture, e certamente ben eruditi sul patrimonio di conoscenza che era del mondo in età imperiale.
(Tratto dalla rivista “PALEOKASTRO” n. 14 anno 2004).
Da: http://www.comune.fiumefreddo-di-sicilia.ct.it/
Foto di Angelo Tècchese La Spina