In un luogo di calma e pace, immerso tra boschi e sentieri, sorgono 2295 m² inerpicati su Monte Caputo, a 766 metri dal suolo di San Martino delle Scale, frazione di Monreale. È il Castello di San Benedetto, una costruzione-fortezza del XII secolo, tipico esempio di architettura arabo-normanna. Dello stesso periodo, ma meno famoso del Duomo e del Monastero benedettino di Monreale, città popolosa a pochi chilometri da Palermo. Il Castello o Castellaccio di Monreale è l’unico esempio di monastero-fortezza militare della Sicilia Occidentale. Utilizzato dunque inizialmente come strumento di difesa e come vedetta, aveva anche lo scopo di costituire da luogo di riposo per i monaci del vicino monastero.
Il Castello si trova nel luogo perfetto per un complesso di difesa: raccolto, a strapiombo, a guardia del monte, domina su tutta la Valle dell’Oreto circostante e su molti dei rilievi calcarei dei Monti di Palermo. Difatti è raggiungibile soltanto arrivandoci a piedi. Sviluppato su una pianta rettangolare, probabilmente sulle fondamenta di un vecchio edificio arabo, possiede ben sei torri, che ne definiscono in maniera spiccata il suo carattere militare. È inoltre pressocché privo di aperture esterne e non presenta conci squadrati, tipici dell’architettura del periodo. La pietra utilizzata è grezza, le linee pulite e semplici, prive di qualsiasi abbellimento o lavorazione. All’interno però, dopo aver sorpassato il lungo corridoio e le cellette dei monaci, si arriva ad un porticato, il chiostro e la cappella, di cui restano ancora oggi i tre absidi e la navata centrale.
Nel 1370 fu teatro di uno scontro tra l’armata di Giovanni Chiaramonte e del nucleo catalano affiancato dai monaci. Lo scontro causò gravi danni al castello che venne immediatamente riparato. Fu presumibilmente dedicato a San Benedetto e si pensa che originariamente fosse costituito su tre piani. Lo scontrò causò danni alla struttura del castello ma poiché la posizione strategica era importante per la prevenzione dagli attacchi da nord e da sud, fu indispensabile il ripristino delle parti danneggiate.
Nel 1393 venne abitato dal re Martino I e nel 1898 iniziò un restauro generale del Castellaccio ad opera dell’architetto Giuseppe Patricolo. Già noto per aver recuperato molte architetture siciliane, Patricolo si impegnò a riparare le parti meno danneggiate del Castellaccio, per salvarlo definitivamente dall’abbandono, avvenuto presumibilmente nel XVI secolo. In seguito, il Castellaccio divenne un rifugio montano di proprietà della Soprintendenza Beni Culturali e Ambientali di Palermo ed in affido al Club Alpino Siciliano. Per quanto difficilissimo da raggiungere, rimane uno dei luoghi preferiti dagli appassionati di arte, storia e natura. Se siete interessati, provate a chiedere in città se è possibile una visita.
Poco distanti, sorgono i presidi arabo-normanni di Cefalà Diana e di Vicari. Il primo è un ex feudo musulmano su cui il castello, diventato poi sistema difensivo dei Chiaramonte, domina. La sua pianta triangolare abbarbicata a 657 metri a livello del mare, è delimitata da un altissimo muro di cinta di cui sono rimasti solo i resti. Piuttosto visibile, rimane invece l’imponente Torre Mastra con i suoi 20 metri e le merlature; costruita su tre piani. Stesso discorso per la piccola città di Vicari, famosa per i biscotti ‘passavolanti’. Il suo castello si staglia su una rocca a strapiombo, a 700 metri sul livello del mare. Costruito in epoca romana, ristrutturato nel 1390 per volere dei Chiaramonte, veniva usato come base per gli attacchi al castello di Castronovo. Luogo cardine ai tempi della battaglia dei Vespri, utilizzato dunque unicamente come fortezza, conserva ancora oggi i resti della sua cinta muraria, delle cisterne e le due torri; la seconda, denominata Porta Fausa o Bummara, è piena dimostrazione del passaggio degli Arabi.
Autore | Enrica Bartalotta